venerdì 25 luglio 2008

Nuova Era - Dopo l'infinito (1989)

I Nuova Era sono stati la più piacevole scoperta musicale degli ultimi anni per quanto mi riguarda. Infatti dopo il mio primo approccio al prog ho ascoltato tutti i gruppi più importanti, di solito questi coincidono con i migliori, quindi dopo alcuni anni di continue scoperte e sbronze progressive, piano piano cominciavo a giudicare mediocri se non brutti i lavori che ascoltavo. Senza fare nomi. Quando un paio di anni fa ho scoperto i Nuova Era ne sono rimasto folgorato, sono semplicemente bravissimi, a parer mio il miglior gruppo italiano post seventies. Probabilmente in pochi li conoscono, sono rimasti confinati nel circuito underground, senza mai raggiungere la visibilità che meritano, comunque la loro schiera di fan ce l'hanno. Nascono a Firenze nel 1986 per opera del tastierista Walter Pini e si sciolgono nel 1996 dopo quattro album in studio. Di questi quattro album ne recensirò tre, solo perchè il primo è un pò acerbo. Gli altri componenti sono Enrico Giordani al basso, Gianluca Lavacchi alla batteria e Alex Camaiti alla chitarra e alla voce; tutte le composizioni sono di Walter Pini, veramente ricco di talento, mentre i testi sono di suo fratello Ivan. Il loro stile deriva direttamente dal sound ELP, infatti le tastiere sono le principali protagoniste, la chitarra è spesso solo un accompagnamento, l'occupazione principale di Camaiti è infatti il canto, per questo ricordano anche qualcosa del Banco. Certamente la tecnica di Pini non è paragonabile a quella di Emerson ma ha molte ottime idee, oltre ad un gusto melodico tutto italiano, che rende le composizioni piacevoli e divertenti. Dopo l'infinito è un concept sulla solitudine, narra di un uomo persosi nello spazio con la sua astronave che gradualmente impazzisce finchè trova un altro pianeta su cui vivere; purtroppo il pianeta è frutto della sua immaginazione. Un aneddoto interessante racconta che una pubblicità di una macchina giapponese ha adottato un pezzo di questo album come colonna sonora dello spot. L'album è diviso in due lunghe suites, Dopo l'infinito e Pianeta trasparente. Walter finalmente acquista convinzione e sicurezza e mostra tutto il suo talento, a livello tecnico ma soprattutto compositivo, utilizzando un gran numero di tastiere e di timbri. Il brano comincia con una linea melodica piacevole condotta da piano e synth, su cui si innesta la voce di Alex, completamente a suo agio sul tappeto di tastiere; poi evolve in un pezzo strumentale stupendo, sembra davvero di sentir suonare Keith Emerson, la musica si fa sinfonica al massimo e il pathos raggiunge quote elevatissime; in seguito Walter passa all'organo, mentre Alex ricanta e suona finalmente la chitarra per un altro grandissimo pezzo; la coda è invece una accelerata per sola tastiera (e sezione ritmica ovviamente) e gli elogi qui si sprecano. Pianeta trasparente parte con un pezzo pop molto orecchiabile, ma il bello deve ancora arrivare: da questo momento in poi Walter è assoluto protagonista e si scatena in pomposità e sinfonismi senza dimenticare la melodia (Emerson docet), le sue fughe sono passionali, genuine, spaziali, riescono ad essere incredibilmente seventies e progressive, pur nella loro relativa semplicità. Da non sottovalutare il lavoro degli altri componenti della band che supportano alla grande il loro leader. In conclusione si può parlare di un grande gruppo, in gran forma, con un compositore in grado di unire eleganza ad orecchiabilità, tecnicismi a melodia, con una profonda nostalgia per il bel periodo che fu, di cui tenta di riprodurre fedelmente le atmosfere. Una piacevole ed inaspettata scoperta.

mercoledì 23 luglio 2008

Quanto guadagna un parlamentare?

Questo paese è pieno di casi di morti bianche, sfruttamenti sul lavoro, contratti in nero, precariato. A volte una vita intera a lavorare non basta neanche per ottenere una casa, 12 ore al giorno di lavoro non bastano a garantirsi sussistenza fino al prossimo stipendio. Mentre c'è una categoria di lavoratori che guadagna parecchio e che questi problemi sicuramente non li ha. I deputati guadagnano mediamente cifre pazzesche che, nel mondo "normale" del lavoro, sono stipendi da manager, e questi soldi sono per lo più prelevati dalle tasche di coloro che lavorano sul serio, i precari e gli sfruttati di poco fa. Guadagnando cifre da capogiro cosa vuoi che gliene freghi ai nostri parlamentari della povera gente? Cerchiamo di vedere nel dettaglio quanto arriva a percepire un deputato.

Indennità parlamentare: 1025.44
Indennità d'ufficio: 418.03
Altre indennità: 4.78
Rimborso spese di viaggio: 1039.75
Rimborso spese di soggiorno: 2814.78
Rimborso spese segreteria e rappresentanza: 456.34
TOTALE: 19105.47

Inoltre:

Telefonia mobile (cellulari): 65.58
Alimentari: 204.69
Biancheria: 1.83
Carburanti e lubrificanti: 10.54
Combustibili: 20.49
Prodotti igienici, farmaci e sanità: 13.66
Altri servizi: 273.26
Stoviglie e vestiario: 15.03
Altri beni di consumo: 20.49
Trasporti aerei: 580.67
Pedaggi autostradali: 146.88
Contributi fondo solidarietà deputati: 683.14
Stampa pubblicazioni: 61.48
Assicurazioni sulla vita ed infortunio: 184.45
Assicurazione R.C.: 28.69
Assicurazione R.C.A.: 3.42
Noleggi: 461.12
Parcheggi: 66.95
Ristorazione: 184.45
Accertamenti diagnostici: 0.68
Spese di rappresentanza: 12.92
Trasporti ferroviari: 235.68
Contributi per il funzionamento del gruppi: 1386.78
Spese postali: 159.17
TOTALE: 4915.04

Per non parlare di:

Tribuna d'onore negli stadi: gratis
Tessera del cinema: gratis
Tessera teatro: gratis
Tessera autobus/metropolitana: gratis
Francobolli: gratis
Viaggi aereo nazionali: gratis
Viaggi treno carrozza letto: gratis
Circolazione autostrade: gratis
Corso lingua straniera: gratis
Piscine e palestre: gratis
Vagone rappresentanza delle FS: gratis
Aereo di stato: gratis
Uso di prefetture ed ambasciate: gratis
Cliniche: gratis
Rimborso spese mediche: gratis
Assicurazione infortuni: gratis
Assicurazione in caso di morte: gratis
Auto blu con autista: gratis
Giornali: gratis
Ristorante: gratis

Per gentile concessione di Bruno Aprile (bapril@tin.it), Vimercate (MI)
Dati estrapolati dal sito della camera
Totale complessivo = 24020.51 al mese per ciascun deputato, cui vanno aggiunti:
- Pensione mensile (diritto che acquisiscono dopo 35 mesi in parlamento, mentre noi ci fanno lavorare fino a 65 e oltre anni): da 2459.71 fino a oltre 7746.85;
- Indennità di carica: da 335.70 a 6455.71;
- Finanziamento ai partiti: 730270.06 al giorno;
- Rimborso spese elettorali: 103291.38;
- Rimborso annuale se viene fondato un giornale: 25822.84;
- Auto blu e scorta 24 ore al giorno per tutta la vita per chi è stato presidente della Camera (anche se non si occupa più di politica).
Tirando le somme ogni deputato costa la faraonica cifra di 153387.70 al mese (circa 153.388 euro), cioè intorno ai 5112.92 al giorno.

venerdì 18 luglio 2008

Nektar - A tab in the ocean (1972)

La produzione progressiva tedesca è anch'essa ampia e variegata, come il prog inglese ha un suo sviluppo particolare e continuo fino ai nostri giorni. Il prog tedesco è detto Kraut rock, mentre i gruppi tedeschi di quel periodo sono chiamati corrieri cosmici, per sottolineare la piega psichedelica spaziale che ha preso la corrente teutonica. Dalla fine degli anni 60 alla fine degli anni 70 in Germania sono nati innumerevoli gruppi che hanno delineato la praticolare tendenza del prog tedesco, i più importanti furono i Tangerine Dream di Klaus Schulze e gli Amon Duul, poi Amon Duul II, di cui avremo modo di parlare in seguito. A me non piace molto il prog tedesco, troppo psichedelico, troppo rarefatto ed etereo, troppo sperimentale e rumorista, anche se alcuni album devo dire che sono veramente ben riusciti, pur presentando queste caratteristiche. Il gruppo che vado a recensire invece è molto british nel sound, infatti il loro leader è inglese, per questo sono da me molto apprezzati. I Nektar nascono nel 1969 ad Amburgo e sono l'inglese Roye Albrighton alla chitarra e alla voce, Allan Freeman alle tastiere, Derek Moore al basso e Ron Howden alla batteria. Nel 1977 si sciolgono dopo aver pubblicato 7 album in studio, si riformano nel 2002 e pubblicano altri tre album nuovi di zecca. Lo stile Nektar parte dal jazz semplificandolo, rendendo le canzoni più melodiche, senza rinunciare a spunti psichedelici e sperimentazioni ricercate in direzione dello space rock, inoltre i testi sono di solito molto lirici ed evocativi. A tab in the ocean è il loro secondo album e uno dei più belli secondo me. Comincia con la title track, una suite di 15 minuti e mezzo dove, chiaramente, ascoltiamo continui cambi di atmosfera. Si parte con una intro organistica lenta ma nervosa, con l'igresso della chitarra prende piano piano corpo, finchè il brano parte in tutta la sua maestosità. Chitarra e tastiere duettano alla grande, la sezione ritmica è robusta, i testi interessantissimi, questa traccia è molto ben costruita tra spunti melodici e passaggi strumentali complessi. Il secondo pezzo Desolation Valley/Waves gioca sull'alternanza di momenti più aggressivi e corposi e momenti rilassati e psichedelici, in questi ultimi si sente un sound più tipicamente tedesco. Ancora una linea di organo introduce il pezzo, ma stavolta l'atmosfera è più malinconica, più decadente; in seguito l'ingresso della chitarra rende il ritmo più movimentato, mentre nell'ultima parte si torna ad atmosfere più soffuse. Si prosegue con Crying in the dark, pezzo più rockeggiante e quasi allegro, in cui ogni tanto incursioni psichedeliche spezzano il ritmo. Infine King of twilight è il mio pezzo preferito dei Nektar, riproposta anche dagli Iron Maiden con una cover sull'album Aces High, brano perfetto nella costruzione. Chitarra e tastiere definiscono un riff orecchiabilissimo e potente, cui fa da supporto un coro altrettanto piacevole, mentre nella parte centrale il brano cambia lanciandosi in una fuga rapida e rockeggiante, per poi frenare bruscamente e ripartire con il tema iniziale. Basso e batteria sono in sintonia perfetta. Questo è sicuramente un album che proporrei fra i classici del prog.

martedì 15 luglio 2008

Stato di polizia

A Milano una nuova ordinanza sta tentando di sgomberare i numerosi centri sociali della città. Lo storico Leoncavallo, il Cox18 vicino casa mia, il Pergola Tribe, sono solo alcuni dei locali storici del capoluogo che rischiano di scomparire. Le scuse sono le solite: sono luoghi di spaccio, ci si riuniscono i peggio ceffi della città, sono locali fatiscenti che minano la bellezza (?) e il decoro (ahah) della città. E coloro che vi abitano non pagano l'affitto, aggiungerei. Fra qualche anno ci sarà l'expo, Milano ormai è satura di gente e non può estendere i propri confini perchè ha già inglobato tutti i paesi circostanti, più grande di così non può essere. Allora giù a tagliare boschi e coprire parchi di colate di cemento, basti pensare al bellissimo bosco che c'era in Gioia, ora una stradona trafficata ed inquinatissima, senza un albero nel raggio di chilometri. Finiti alberi e parchi adesso tocca ai centri sociali, ultimi luoghi ancora disponibili per un pò di sana speculazione edilizia. Ultimi luoghi a proporre ancora qualcosa di culturale, perchè sì i centri sociali sono locali dove si organizzano serate, si ascoltano concerti, ci si ubriaca e si balla, ma sono anche luoghi che spesso allestiscono incontri culturali come mostre, incontri con artisti, registi, scrittori, recite teatrali e così via. Il Cox18 ospita, per esempio, una delle biblioteche più importanti d'Italia, non ricordo a quale personaggio della nostra cultura è appartenuta; un altro centro sociale funge da pronto soccorso per extracomunitari irregolari, i quali altrimenti morirebbero per strada. Chiedere ad un pronto soccorso allestito da volontari e rivolto a coloro che più hanno bisogno di assistenza di pagare un affitto è qualcosa di inumano. Invece il Pergola Tribe è stato per un periodo un ostello autogestito, estremamente economico, spesso è stato l'unico posto dove senzatetto e disadattati vari hanno potuto trovare un posto dove passare la notte per pochi spiccioli. Nei prossimi giorni le forze armate tenteranno di scacciare via i tossici che popolano questi terribili luoghi che tanto deturpano questa città incontaminata. Questo è solo una delle problematiche che stanno agitando Milano, c'è anche il terribile problema della vendita degli alcolici dopo una certa ora. C'è una piazza che spesso frequento dove si raduna un gran numero di giovani, come capita in tantissime altre città italiane. Il problema sollevato dagli abitanti del quartiere è, come al solito, la violazione della decenza e del decoro che questa massa di giovani porta: si fanno le canne, lasciano le bottiglie per la strada e sulle macchine, orinano in giro. Il primo problema è stato risolto dopo un anno di repressione tramite transenne che limitavano lo spazio ricreativo disponibile e una massiccia presenza di sbirri così facilitati nel compito di limitare il traffico di stupefacenti. Ovviamente basta allontanarsi di un centinaio di metri per poter comprare tranquillamente tutto ciò che si vuole, ma vabbè. Si è tentato di risolvere il secondo problema vietando la vendita di liquidi in vetro e la vendita di alcolici in generale dopo le due di notte. Ma la piazza è comunque piena di bottiglie, anche se i bar circostanti giurano di non venderne. Come si spiega? Semplice, il proibizionismo porta l'illegalità, così sono nati gli spacciatori di bottiglie di vetro e di alcolici. Allora bisogna trovare una soluzione e pare che il sindaco l'abbia trovata: più sbirri, sbirri in borghese. Si potrebbero assumere altri sbirri e farli girare nella piazza in borghese, di modo tale da multare chi è sorpreso con una bottiglia di vetro ed arrestare i pericolosissimi trafficanti, minaccie per l'economia cittadina. Forse non hanno pensato al fatto che quegli sbirri bisognerà pur pagarli, e non prendono di certo poco i nostri preziosi tutori della legge. Forse mettere più cestini, qualche campana per la raccolta differenziata, dei bagni mobili, senza arrivare ad assumere più spazzini e farli girare ad ogni ora (cosa che in Spagna esiste da tanto tempo e non mi pare qualcuno si lamenti) sarebbe troppo costoso. Come per le discariche napoletane, l'unica soluzione che il nostro governo sembra in grado di produrre è aumentare il numero degli sbirri.

giovedì 10 luglio 2008

UK - Night after night (1979)

Supergruppi, quanto li adoro. Il fatto che musicisti già famosi e di diversa estrazione decidano di formare un gruppo, di pianificare la nascita di un gruppo mi lascia estasiato. Immagino le modalità e le vicende con le quali potrebbe essere nato il gruppo in questione, chi chiama chi, chi comincia a scrivere pezzi, chi propone un'idea per un altro componente e chi potrebbe essere quest'ultimo, poi tutti gli intrecci di personaggi e gruppi che ciò comporta. Mi flasho un casino. Gli UK sono fondati dal bassista e cantante John Wetton e dal batterista Bill Bruford, insieme nei King Crimson; Wetton chiama il tastierista e violinista Eddie Jobson, dopo aver suonato con lui nei Roxy Music, mentre Bruford chiama il chitarrista Allan Holdsworth, dopo aver suonato con lui nei Gong. E già tutta questa storia mi affascina un sacco. Dopo la registrazione del primo omonimo album Holdsworth e Bruford vanno via e Wetton e Jobson decidono di rimpiazzare solo il batterista e di continuare in tre. Quindi Jobson, che aveva suonato anche con il compianto Frank Zappa, chiama l'ex compagno Terry Bozzio. Con questa line-up registrano il secondo album Danger Money e registrano un grandissimo live intitolato Night after night, che meglio racchiude la produzione UK che, purtroppo, si ferma qui. Se vi piace tantissimo questo live, come piace tantissimo a me, consiglio di ascoltare anche i due album in studio. Il sound UK è basato sulla ritmica Wetton-Bruford che di tempi dispari se ne intendono e sulle visioni acide della coppia Jobson-Holdsworth. Dopo la partenza di Holdsworth Jobson diventa protagonista assoluto sostituendo la chitarra con il suo violino elettrico, oltre al sintetizzatore di cui è maestro indiscusso. Il concerto, tenutosi in Giappone, comincia con una traccia inedita, Night after night, non molto complessa ma gradevole grazie alla melodia quasi pop, con un ottimo assolo di organo e la grande voce di John, di cui non mi stancherò mai di decantarne le doti. Rendez vous 6:02 è una ballata che racconta di un appuntamento alle 6:02 in cui predomina il piano di Eddie e la stupenda voce di John; canzone calma, sognante, romantica. Eddie ci regala un altro assolazzo di synth e Terry mostra tutta la sua bravura percussiva. Si prosegue con uno dei miei pezzi preferiti, Nothing to lose, molto difficile da eseguire live con una formazione a tre, poichè Jobson deve suonare tastiere e violino, quindi risulta più lunga della versione in studio per dare modo al musicista di cambiare strumento, mentre Wetton e Bozzio portano avanti il ritmo. L'assolo di violino è praticamente stupendo, Jobson è un funambolo e il paragone con Darryl Way non è a caso, rende la traccia più bella della versione in studio, anche perchè eseguita con più passione ed energia. As long as you want me here è il secondo inedito del disco, canzone di matrice wettoniana per la chiara impronta pop e il testo pacchianissimo. John avrà modo di sfogare queste sue tendenze con gli Asia di cui parleremo in seguito. Comunque è molto bella, con il solito gran lavoro di Eddie alle tastiere. Alaska presenta ancora ritmiche complesse e costruzioni melodiche non semplici da digerire ma affascinantissime. Mentre Time to kill è leggermente più semplice, Jobson domina con le tastiere in stile fusion, in seguito riprende il violino regalandoci stupende variazioni sul tema principale. Presto vivace è una intro trascinata dalle tastiere con un basso pulsante in sottofondo e una batteria in controtempo: Jobson suona a tremila, ascoltando i pochi secondi che compongono questa traccia ci si rende conto che con le dita è un dio. Segue In the dead of night con l'ennesimo grande assolo al sintetizzatore, mentre chiude Caesar's palace blues, con un violino quasi hard. Che dire, i tre musicisti sono divini, il miglior prog live di tutti i tempi.

martedì 8 luglio 2008

I-Doser, la nuova piaga sociale

Ha suscitato allarme una notizia sconvolgente riportata da principali quotidiani e telegiornali del paese, la notizia del serpeggiare di una nuova droga fra i giovani, una droga pericolosissima e apparentemente inarrestabile. Sì perchè questa droga si diffonde attraverso la rete, attraverso i canali p2p, è sufficiente un semplice programmino downloadabile gratuitamente come emule per entrare in possesso di questi file. Tali file sono tracce mp3 le quali riproducono dei suoni in grado di stimolare quelle parti del cervello che verrebbero stimolate dall'assunzione di alcune droghe; in pratica sono delle tracce in grado di sballarti. Allora la situazione è gravissima: questi file causano dipendenza, sono praticamente gratis e chiunque può entrarne in possesso con un paio di click, infatti sono praticamente già diffusissimi. Che siano diffusissimi è vero, ovviamente non ho resistito alla curiosità di procurarmene un pò ed ascoltarli: più di 2000 persone possiede quei file solo sulla rete kadu, peccato che queste tracce siano del tutto inoffensive. Si tratta di pezzi della durata dal quarto d'ora ai tre quarti che emettono suoni monotoni e per niente musicali, l'unico effetto è una noia mortale (c'è persino il file che dovrebbe simulare l'orgasmo, che assurdità). Ma allora cos'è tutto questo allarmismo? Mi viene da pensare che coloro che hanno scritto i vari articoli di denuncia non abbiano affatto ascoltato quelle tracce, piuttosto abbiano colto la palla al balzo per scagliarsi contro i circuiti p2p e il file sharing, nemici della stabilità sociale a loro dire, del business legato a musica cinema e software a mio dire. O comunque per continuare a tener lontana l'opinione pubblica dai veri problemi del paese. Quasi quasi scrivo una lettera al corriere della sera per dir loro che un buon giornalista prima di scatenare allarmi dovrebbe verificare di persona la veridicità delle sue parole. Tutto ciò mi è stato segnalato da un mio amico che fa parte di una associazione culturale sul cui sito si legge un articolo sullo stesso argomento. Senza di lui non avrei provato queste fantastiche nuove droghe e sarei rimasto limitato nei miei soliti, monotoni orizzonti. Grazie Kuokolo.

mercoledì 2 luglio 2008

Camel

I Camel sono uno di quei gruppi di cui è impossibile segnalare un album migliore, cioè magari si potrebbe dire il preferito secondo il proprio gusto personale, ma l'intera discografia non presenta alti o bassi. Sicuramente la prima parte di carriera è quella più importante e quella che dà i frutti migliori, anche perchè la prima formazione è composta da quattro musicisti giovani, con voglia di sfondare e molto uniti fra loro. Questi quattro musicisti sono Peter Bardens, grandissimo tastierista e cantante proveniente dai Them di Van Morrison, deceduto nel 2002, Andy Latimer, chitarrista, cantante e flautista, dallo stile unico chiamato "crying guitar", Doug Ferguson al basso ed Andy Ward alla batteria. In seguito rimarrà solo Latimer alla guida del gruppo mentre gli altri tre o quattro membri a seconda dei casi ruoteranno in pratica quasi ogni anno. Comunque la produzione arriva fino ai giorni nostri e spesso si tratta di album molto gradevoli. Bisogna dire che i Camel sono giunti sulle scene in leggero ritardo, infatti il primo omonimo album è datato 1973, ed è per quresto motivo, probabilmente, che non hanno ricevuto il riconoscimento che meritavano: ben altri gruppi erano alla ribalta in quegli anni, e superare picchi di creatività che davano King Crimson, Genesis, ELP, Yes, per non citarne altri, era impresa praticamente impossibile. Comunque hanno anche loro il loro stuolo di fan, e al giorno d'oggi sono considerati uno dei migliori gruppi prog di sempre. I Camel sono la malinconia in musica, sono la tristezza musicata. Spesso accostati al Canterbury Sound (seppur londinesi) per l'attenzione rivolta alla melodia ed al romanticismo, riescono ad elaborare un proprio stile, a parer mio, emozionantissimo. Le canzoni dei Camel sono spesso brevi ballate dolcissime, che evocano sentimenti come nostalgia, tristezza, malinconia, solitudine, ma anche calma e serenità. Il punto di forza è l'intesa praticamente perfetta fra Bardens e Latimer, che si scambiano la conduzione della melodia e spesso sono protagonisti di intrecci chitarra-tastiere indovinatissimi, e l'altrettanto perfetta intesa fra Ferguson e Ward nel dettare il ritmo. Per questo quando rimarrà solo Latimer a reggere la baracca il sound ne risentirà. Quindi, dicevo, grandissima attenzione alla parte strumentale, infatti gli innesti vocali sono rari e semplici, affidati ora a Peter ora ad Andy, dalle voci abbastanza simili e molto calde. Il primo album Camel non è ancora maturo, le canzoni non hanno quell'armonia perfetta, quella pulizia sonora che in seguito emergerà, ma è comunque piacevole, con cambi di ritmo e assoli individuali. Come per gli Uriah Heep, alla fine del post listo le canzoni che secondo me sono assolutamente da ascoltare. Da Camel estraggo Never let go, struggente. Il secondo album si intitola Mirage e presenta la figura di un pacchetto di Camel in copertina e per questo ha scatenato una battaglia legale ai tempi. L'affiatamento della band migliora e finalmente possiamo sentire il tipico suono Camel, mai tenebroso o nervoso o minaccioso, sempre quieto, luminoso, fiabesco, seppur malinconico. Freefall è forse l'unica loro canzone un po' più aggressiva, più rockeggiante e veloce. Mentre Lady Fantasy è un capolavoro: Andy e Peter si scambiano la conduzione continuamente sfoggiando grandi virtuosismi, si cambia ritmo ogni minuto passando da schitarrate rock ad atmosfere morbide, si ode finalmente la vera chitarra piangente di Latimer, tutto in una amalgama strumentale perfetta. Si arriva così al concept e quello ritenuto dalla critica (ma non da me) il migliore del gruppo: The snow goose, ispirato ad una racconto di Paul Gallico su un'oca delle nevi (???) ed un guardiano di un faro. Il lavoro è interamente strumentale e molto molto bello, ma le mie preferite sono Rhayader, introdotta da un assolo di flauto semplicemente celestiale, etereo, che poi evolve in un pezzo melodico sostenuto dal piano e da una vigorosa linea di basso, e Rhayader goes to town, con un assolo di chitarra spettacolare. Il gruppo continua a sfornare album e si arriva a Moonmadness, che non presenta cali di ispirazione. Song within a song è ancora introdotta dal flauto, poi le tastiere irrompono prepotentemente fino ad un finale teso e impetuoso. Altri pezzi notevoli sono Air born, la più rilassata e triste dell'album, e Lunar sea, con un lungo assolo tastieristico a tratti spaziale. Infine si arriva al 1977 e all'ultimo lavoro dei Camel con Peter Bardens: va via Doug Ferguson e arriva Richard Sinclair, bassista dei Caravan e degli Hatfield & the North, che, oltre al proprio strumento, offre anche la voce, munendo così la band di un cantante di ruolo, inoltre entra nel gruppo il sassofonista Mel Collins, già in Red dei King Crimson. L'album si mantiene su livelli decisamente dignitosi, con qualche traccia da segnalare che riporterò in basso. Da questo momento in poi il resto della discografia è trascurabile, ma di buon livello. Che dire, i Camel rappresentano uno dei lati più romantici del prog, perchè romanticismo è culto del sentimento, un animo romantico si nutre di passioni, vive di emozioni, e la malinconia è un'emozione forte, a volte può essere piacevole abbandonarsi alla tristezza. Basta non farlo troppo spesso.
never let go
freefall
lady fantasy
rhayader
rhayader goes to town
song within a song
air born
lunar sea
unevensong
tell me
elke
skylines