venerdì 21 novembre 2008

Gentle Giant - Gentle Giant (1970)

I Gentle Giant fanno parte dei gruppi "famosi" del prog, non hanno avuto il successo commerciale che meritavano probabilmente, ma sono oggi riconosciuti come uno dei gruppi più originali ed innovativi del priodo. Bisogna precisare che non hanno avuto successo commerciale in patria, poiché in Italia sono uno dei gruppi progressivi più conosciuti ed apprezzati, paradossalmente. Nascono alla fine degli anni '60 per mano dei fratelli Shulman: Ray suona il basso, la chitarra ed il violino, Derek canta e suona il basso, e Phil suona il sax ed il trombone. I tre reclutano il chitarrista Gary Green, Kerry Minnear a tastiere, vibrafono, flauto e violoncello, e Martin Smith alla batteria, con il preciso intento di mettere insieme il diverso bagaglio di esperienze che ciascuno porta, ovvero jazz, musica classica (di cui il tastierista è un grande esperto nonché uno dei migliori con il suo strumento, sebbene non sempre riconosciuto tale), folk, blues e rock'n'roll, e fonderli con il nuovo che avanza, il progressive rock. Ciò che ne viene fuori è un sound originale, spigoloso e contorto, con numerose sovraincisioni ed intrecci vocali, barocchismi e sinfonismi, prog rock e musica medioevale. La loro discografia arriva fino al 1980 ma in pratica i primi quattro album sono quelli che li rendono famosi e in cui i musicisti danno il meglio, album che quasi si equivalgono, per questo scelgo il primo omonimo, secondo me più fresco ed originale ed anche più rockettaro, cui seguono Aquiring the taste nel 1971, Three friends nel 1972 ed Octopus nel 1973, considerato dalla critica loro miglior lavoro. L'album in questione taglia talmente nettamente con il passato che i venditori di dischi ed i critici non riuscivano ad inserirlo in una categoria, mentre sulla copertina del loro secondo album si legge: "Il nostro scopo è di allargare le frontiere della musica popolare contemporanea, anche a costo di diventare impopolari". La copertina, raffigurante un gigante sorridente e bonario che tiene i componenti della band nelle mani, diventerà nel tempo una sorta di icona, quasi come la copertina del primo disco dei King Crimson. L'album si apre con Giant, di impronta rock, con una chitarra corposa ed aggressiva, inframezzata da suggestive escursioni organistiche, virtuosismi acustici che si alternano a virtuosismi elettrici; la novità è palese, tanti ascoltatori di quei tempi saranno rimasti allibiti dall'incipit di questo lavoro. La seconda è la traccia più melodica e quindi la mia preferita, Funny ways, echi medioevali e violino in primo piano, delicata e sognante, tendente al rock'n'roll nella parte centrale, stupenda. Alucard invece mostra tutta la qualità vocale che il gruppo è in grado di produrre, poiché il cantante principale è sì Derek, ma tutti gli altri componenti del gruppo sanno cantare e mettono in piedi ghirigori e contorsioni vocali pazzesche; traccia abbastanza complicata e da ascoltare attentamente, per la minuziosa ricerca sonora che il gruppo le ha dedicato e i duelli fiati-voce, coinvolgenti ed allucinanti. Isn't quiet and cold? è un'altra ballad romantica, con intrecci violino vibrafono che rimandano alla musica ottocentesca, creando un'atmosfera d'altri tempi. Nothing at all è un'altra traccia molto sperimentale, le melodie sono ricercate e complicate, i virtuosismi si buttano, l'anima del brano rimane rock ma gli strumenti acustici, e la fuga percussiva nella parte centrale, donano un sapore folk. Why not? parte ancora dal rock per giungere alla musica classica, brano solido con un sapiente flauto che rimanda alla psichedelia. Infine chiude il disco una versione prog dell'inno inglese, intitolata The queen, brano particolare, provocatorio e dissacrante. Fine.

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