domenica 12 giugno 2011

L'uomo che ha fottuto un intero paese

I miei genitori mi hanno richiesto la traduzione dell'articolo dell'Economist sul nostro beneamato premier, quindi la vado a postare.

L'uomo che ha fregato un paese intero
L'era berlusconiana perseguitera' l'Italia per anni a venire
Silvio Berlusconi ha molti motivi per sorridere. Nei suoi 74 anni ha creato un impero mediatico che lo ha reso l'uomo piu' ricco d'Italia. Ha dominato la vita politica sin dal 1994 ed e' adesso il primo ministro con la piu' lunga carriera politica, dopo Mussolini. E' sopravvissuto ad innumerevoli previsioni di imminente collasso. Ma nonostante i suoi successi personali e' stato un disastro come leader nazionale in tre modi diversi. Due di questi sono ben noti. Il primo e' la lurida saga dei suoi festini a sfondo sessuale detti "Bunga Bunga", uno dei quali ha provocato il poco edificante spettacolo di un primo ministro accusato di aver pagato una minorenne in cambio di sesso. Il processo Rubygate ha infangato non solo Berlusconi ma anche il suo paese.
Per quanto vergognoso possa essere stato lo scandalo sessuale, il suo impatto sulle performance governative di Berlusconi e' stato limitato, per cui questo giornale lo ha del tutto tralasciato. Abbiamo piuttosto protestato riguardo il suo secondo fallimento: la sua disonesta attivita' finanziaria. Negli anni e' stato portato in tribunale una dozzina di volte per frode, falso in bilancio e corruzione. I suoi difensori asseriscono che non e' mai stato condannato, ma questo non e' vero. Molti casi lo hanno condannato, salvo poi essere annullati causa caduta in prescrizione per una legge cambiata da Berlusconi stesso. Di questo abbiamo parlato nell'aprile 2001, dicendo che il premier non e' adatto a governare l'Italia.
Non c'e' ragione di cambiare quel giudizio. Ma e' ora chiaro che ne' il sesso a pagamento ne' la sua dubbia storia finanziaria faranno cambiare idea agli italiani circa i suoi disastrosi e persino maligni fallimenti. Di gran lunga il peggior difetto e' la totale incuria delle condizioni economiche del suo paese. Forse a causa dei suoi numerosi impegni in tribunale, il premier, in quasi 9 anni da primo ministro, ha fallito nel rimediare o persino realmente capire la grave debolezza economica dell'Italia. Come risultato, egli lascera' dietro di se' un paese ridotto alla fame.
Una malattia cronica, non solo grave
Questa sinistra conclusione potrebbe sorprendere gli studiosi della crisi europea. Grazie alla stretta politica finanziaria del ministro dell'economia, Giulio Tremonti, l'Italia ha evitato il collasso dei mercati. L'Irlanda, non l'Italia, e' la I dei PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna). L'Italia ha evitato il crollo del mercato immobiliare e il fallimento delle banche.
L'occupazione ha tenuto: il tasso di disoccupazione e' dell'8%, non del 20% come in Spagna. Il deficit di bilancio nel 2011 e' del 4% del prodotto interno lordo, contro il 6% della Francia.
Ma questi numeri rassicuranti sono ingannevoli. La debolezza economica dell'Italia non e' una malattia acuta ma cronica, che ne corrode lentamente la vitalita'. Quando l'economia europea affonda, l'Italia affonda piu' rapidamente; quando cresce, cresce piu' lentamente. Come sottolinea la nostra inchiesta di questa settimana, solo lo Zimbabwe e Haiti hanno avuto una crescita inferiore dell'Italia nell'ultima decade. Infatti il PIL in Italia sta precipitando, a dirla tutta. La mancanza di sviluppo economico significa che, nonostante cio' che dice il signor Tremonti, il debito pubblico e' del 120% del PIL, il terzo piu' alto del mondo occidentale. E tutto cio' e' ancora piu' preoccupante se si considera il rapido invecchiamento della popolazione italiana.
Il basso tasso di disoccupazione nasconde la diversificata distribuzione dello stesso. Un quarto della popolazione giovanile, moltissimi dei quali nel depresso sud, e' senza lavoro. La participazione femminile al mondo del lavoro e' del 45%, la piu' bassa dell'Europa occidentale. Una combinazione di bassa produttivita' e alti salari della casta sta erodendo la competitivita': mentre la produttivita' e' salita di un quinto in America (poi mi chiedono perche' sono andato a vivere qui, ndb) e di un decimo in Gran Bretagna dal 2000 al 2010, in Italia e' scesa del 5%. L'Italia occupa l'80esimo posto nella speciale classifica redatta da World Bank "Doing Business", una sorta di tasso di attivita' affaristica internazionale, dietro Bielorussia e Mongolia, e occupa la 48esima posizione se si considera il tasso di competitivita' secondo il World Economic Forum, dietro Indonesia e Barbados.
Il govenatore uscente della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha recentemente spiegato come stanno le cose in un incisivo discorso di addio (prima di prendere le redini della Banca Centrale Europea). Egli ha insistito nel dire che l'economia ha un disperato bisogno di una grande riforma strutturale. Ha puntato il dito contro la produttivita' stagnante ed ha attaccato le politiche governative che "falliscono nell'incoraggiare, e spesso ostacolano, lo sviluppo dell'Italia", come per esempio i ritardi del sistema giudiziario civile, l'universita' senza fondi, una mancanza di reale competizione nei servizi pubblici e privati, un mercato del lavoro composto da due tipologie di impiegati: i raccomandati ed i precari, e infine un numero troppo esiguo di aziende importanti.
Tutte queste cose stanno cominciando ad influenzare la qualita' della vita in Italia. Le infrastrutture sono trascurate. I servizi pubblici lenti ed inefficienti. I redditi reali sono nel migliore dei casi stagnanti. I giovani italiani con un minimo di ambizione stanno lasciando il paese in massa, abbandonandolo nelle mani di una elite vecchia e lontana dalla realta'. Pochi europei lamentano vizi nel proprio sistema politico quanto gli italiani.
Eppur si muove
Quando questo giornale ha denunciato il signor Berlusconi la prima volta, molti imprenditori italiani hanno replicato che solo la sua faccia tosta, il suo modo maliziosamente intraprendente di fare affari potevano in qualche maniera modernizzare l'economia del paese. Nessuno ha il piu' il coraggio di sostenere questa tesi adesso. Piuttosto usano la scusa che la colpa non e' del cavaliere, e' del loro irriformabile paese.
Ma l'idea che un cambiamento e' impossibile non e' solo disfattista, e' anche sbagliata. I governi italiani della meta' degli anni 90 hanno portato a compimento alcune riforme massive, nella paura di essere lasciati fuori dall'Unione Europea. Persino Berlusconi ha occasionalmente tentato di far passare qualche riforma liberale fra una battaglia in tribunale e l'altra: la legge Biagi sul mercato del lavoro ha aumentato l'occupazione, e molti economisti hanno lodato la riforma italiana delle pensioni. Di certo avrebbe potuto fare molto di piu' se avesse usato il suo vasto potere e la sua popolarita' allo stesso modo con cui li ha usati per proteggere i propri interessi. L'Italia piu' moderna ed intraprendente paghera' carissimi i suoi vizi.
E se il successore di Berlusconi fosse allo stesso modo negligente? La crisi europea sta costringendo Grecia, Portogallo e Spagna a varare pesanti riforme nonostante la grande protesta popolare. Questo fara' soffrire il popolo a breve termine; ma a lungo termine dovrebbe dare un nuovo volto all'economia. Questi paesi sperano di poter ridurre il debito pubblico con la ristrutturazione del sistema. Un'Italia vecchia e stagnante, con un debito pubblico irremovibile del 120%, si ritrovera' ad essere una pesante zavorra per l'Unione. Chi e' il colpevole? Il sig. Silvio Berlusconi, il quale senza ombra di dubbio stara' ancora sorridendo.