sabato 3 dicembre 2016

L'incorreggibile Lupin

La pineta

Era l'estate del 2000 e avevo da poco compiuto 18 anni. Non ero ancora auto munito e non volevo prendere subito la patente, sapevo che avrebbe cambiato le dinamiche all'interno del mio gruppetto di amici e persino all'interno del quartiere.
La mia posizione nella gerarchia sociale che regolava la vita nel mio rione era alquanto scomoda: non ero abbastanza figo per frequentare, o "trattare" come si dice a Matera, il gruppo di quelli "grandi", che avevano tutti dai 18 ai 21 anni. Balordi di periferia, con la terza media ed il posto fisso in fabbrica, incoscienti del fatto che il loro futuro era già scritto, ma in qualche modo consapevoli di ciò. Avevano tutti la ragazza, che cambiavano frequentemente; molti si potevano già permettere una macchina, che veniva immediatamente modificata; tutto il resto dei loro stipendi andava in droga ed alcol. Non avrei mai voluto essere come loro, ma invidiavo anche la loro apparente stabilità, il fatto di sapere già cosa fare della loro vita, e soprattutto le loro ragazze. Quindi frequentavo i ragazzi più piccoli, i "criatori", quindicenni, sedicenni e diciassettenni con i quali mi trovavo molto più a mio agio, facevano molta meno paura e indiscutibilmente erano molto meglio delle loro controparti più anziane. Ci divertivamo insieme, bevevamo soprattutto, fumavamo un sacco di hashish terribile e marijuana peggiore, ci sedevamo l'uno accanto all'altro nelle fredde serate invernali materane, quando il vento soffia gelido ma devi comunque uscire e andare a vedere i tuoi amici e fumare un sacrosanto cannone dopo aver passato tutto il pomeriggio sui libri. Credevamo di essere amici per la vita, di poterci fidare l'uno dell'altro, pensavamo che saremmo invecchiati insieme. Avevano tutti il motorino tranne me: i miei mi avevano promesso di pagarmi le lezioni di guida e lasciarmi la macchina il sabato sera se rinunciavo al motorino. Mi stava bene, non navigavamo nell'oro, e il quartiere in cui vivevamo ne era prova. Sapevo che avere uno con la macchina in un gruppo cambia le cose, di parecchio: ci si può andare in giro in cinque e si può persino pensare di andare a Bari, o in discoteca. Per non parlare del fatto che avremmo potuto usare la mia autovettura per appartarci con le ragazze. Se avessimo avuto ragazze. Questi erano i lati positivi. Il lato negativo consisteva nel fatto che la voce che io, Sacchetto, avevo una macchina si sarebbe immediatamente diffusa nel quartiere, e avrei dovuto dare passaggi in continuazione ai balordi peggiori, quelli che un lavoro non ce l'avevano e non lo volevano, piuttosto campavano di espedienti, piccoli furti e spaccio. Non era facile dire di no a questi tipi, ed erano anche una sorta di idoli per i miei giovani amici, gente che riesce a cavarsela anche senza dover lavorare, che ha sempre droga e donne, che vive mille avventure urbane. Quando qualcuno di questi ti chiede il cellulare, o il motorino, tu gielo dai, punto. Sarebbe stata la stessa cosa con la mia auto, anzi l’auto dei miei. Odiavo tutto ciò, perché io la macchina la volevo. Ad ogni modo, quell'estate volevo godermela: a differenza dei miei amici io andavo bene a scuola, ero l'unico che voleva andare all'universitá, stavo a poco a poco prendendo coscienza dei miei mezzi intellettuali, in un ambiente che i mezzi intellettuali li riempie di botte. Avevo appena concluso il quarto scientifico con molti 7 ed 8 e pensavo di meritarmi un paio di mesi di baldoria. La patente poteva aspettare. Avevamo appuntamento con Marcostrano alle 11 alla pinetina. Era la mattina del 2 luglio, il giorno della festa patronale, che si conclude con una folla imbizzarrita che prende d'assalto un carro di cartapesta, allo scopo di portare a casa il pezzo più pregiato, di solito un angelo o una madonna. Tutto ciò è condito da sette giorni di giostre e bancarelle, forestieri e turisti vari che affollano le vie, e soprattutto un po' di droga che finalmente circola nella nostra minuscola ed insignificante cittá. Avevamo grandi progetti per quel giorno, stavamo comprando una quantitá di fumo che non avevamo mai comprato prima, avevamo intenzione di goderci la festa fino all'ultimo. Arrivo verso le 11 e 5 nel boschetto di pini che molti chiamavano parco, ma del parco non aveva niente, non un sentiero, nè delle panchine, nè uno scivolo. Era solo un mucchietto di pini mediterranei lunghi e secchi, che però fungeva da riparo sufficiente se volevi fumartene una o dovevi fare un "movimento", vale a dire un acquisto non proprio legale. Eravamo lì per fare un movimento con Marcostrano, uno dei balordi di cui sopra, avevamo tutti promesso di contribuire con una quota. Pippo era già , con la sua immancabile Merit fra le dita. Aveva trovato lavoro come fornaio, dopo aver finalmente convinto i suoi che la scuola non faceva per lui, e si poteva permettere qualche spesuccia. Ci salutiamo quando arrivano Droghino e Babbeo. Mancavano ora solo Sbuccino e Lupin. Droghino andava all'alberghiero, ma lavorava anche in un ristorante. Metteva 70 o 80 mila lire oggi, derivanti dai guadagni della sua attivitá di cameriere, chiaramente assunto in nero e sottopagato. Godeva di buona reputazione fra quelli più grandi, Droghino, sembrava uno che ci sapesse fare nella vita. Ci scrocchiamo sigarette a vicenda e parliamo un po' della finale dell'europeo incombente quella sera, ed in quel mentre sopraggiungono Marcostrano e Sbuccino sul Booster di quest'ultimo. Sbuccino passava parecchio tempo con Marcostrano ultimamente, era diventato il suo preferito. Sbuccino lo portava in giro con il motorino, gli faceva fare le chiamate col cellulare, lo finanziava nei suoi loschi affari. In cambio ne guadagnava in popolaritá, era ora la spalla di Marcostrano, o almeno lo sarebbe stato per qualche mese. Quest’ultimo si avvicina e ci chiede i soldi. Spero con tutto il cuore che non cominci a prendermi in giro come fa di solito, ma oggi sembra di buon umore. Mettiamo insieme il contante e prendiamo il pezzo, che ora dobbiamo dividere. Un paio di noi cominciano a rullare, l'atmosfera si sta rilassando quando Droghino conferma ancora una volta la sua reputazione di ragazzo scafato e dice: "Uagnuni, c'è una macchina sospetta". Un'Audi nera con i vetri affumicati sfreccia nella strada adiacente la pineta. Droghino continua: "È la seconda volta che passa." Marcostrano ordina: "Nascondiamo il fumo, ora!" Tutti cominciano a sollevare pietre ed a cercare buchi nei tronchi, io sono un po' indeciso sul da farsi, e nel trambusto compaiono zio Guida ed un giovane cadetto, sono agenti della Digos. Zio Guida saluta Marcostrano chiamandolo per nome di battesimo, gli chiede cosa stia facendo nel mezzo di una pineta con un mucchio di ragazzini. Il nostro pusher dice che sta solo decidendo cosa fare di bello in un giorno festivo con il suo gruppo di amichetti. Zio Guida gli intima di non fargli perdere tempo e di tirare fuori il fumo, altrimenti proseguirà con una perquisizione individuale. Io però, nella confusione generale precedente, non avevo fatto in tempo a nascondere il mio tocchetto, che ancora custodivo nelle tasche. Marcostrano fa lo gnorri, lui ha smesso con quella roba da parecchio, e lo invita a perquisire. Nel momento in cui Zio Guida si avvia deciso verso il nostro pusher, alle spalle dei due agenti a pochi metri di distanza compare Lupin, di cui ci eravamo tutti dimenticati. Lupin aveva preso del fumo per conto suo, 100 mila lire millantava. In una frazione di secondo, le nostre pupille si dilatano alla vista del nostro amico, non potevamo avvertirlo del pericolo, e Lupin, capendo immediatamente la situazione, si tuffa in un cespuglio alla sua destra. Zio Guida ed il cadetto si girano di scatto, insospettiti dal rumore e dalle nostre pupille, ma non vedono nessuno. Io approfitto del momento per buttare il fumo dietro di me, con un movimento fulmineo di cui non avrei mai pensato essere capace. Ci perquisiscono uno ad uno, e non trovano un bel niente di niente, con nostra somma soddisfazione. I due agenti della Digos sono costretti ad andarsene con le pive nel sacco. Scampato il pericolo, ci sentiamo euforici, ci diamo il cinque a vicenda e ci complimentiamo con Droghino, che ancora una volta aveva letto la situazione con largo anticipo. Lupin esce dal cespuglio in cui si era rintanato e si mette a rullare un cannone. Recupero il fumo con una facilitá inaspettata, ho il cuore che mi batte forte, non c'è niente che possa fermarmi oggi. Era ora di cominciare a bere e fumare.

Franco

Ci disponiamo in circolo e facciamo girare tre canne. Il sole picchia forte attraverso i rami dei pini, la polvere sale dalla terra battuta. Anfibi con la suola spessa, jeans a zampa, magliette attillate, capelli lunghi o a spina, orecchini e piercing. Tutti uguali nella nostra provincialità. Sbuccino ci fa sapere che deve portare Marcostrano "ad una parte", e chiede dove ci vediamo. Il momento sembra propizio per andare a passare qualche ora in saletta a giocare a carambola e biliardino. Sbuccino ne è entusiasta: "Allora faccio spesa e vi raggiungo lì" annuncia. La "spesa" di Sbuccino consisteva in birra, patatine, biscotti ed altre robacce, che costui comprava dall'unico negozio alimentari del quartiere senza badare a spese. 40, 50, 60 mila lire, non aveva importanza, Sbuccino offriva sempre, ci teneva ad avere quella fama. I soldi venivano dal negozio di sali e tabacchi di proprietà di suo nonno, impresa familiare che dava lavoro a tutti i membri della famiglia. Il negozio aveva un bar, una slot machine e vendeva biglietti della lotteria e gratta e vinci, da cui derivava gran parte dei proventi. Il nostro amico ci raccontava che la gente spende l'ira di dio in lotto e gratta e vinci, e che suo nonno è troppo rincoglionito per tenerne il conto. Rubava dalle 50 alle 100 mila lire quotidianamente, e finora nessuno se n'era lamentato. Quei soldi venivano poi spesi in alcol, cibarie ed hashish, messi poi a disposizione della comunità, con la popolaritá di Sbuccino che s'impennava. Peccato che tutti ci rendevamo conto che lo faceva per una cronica mancanza di personalità ed una profonda insicurezza. Non era particolarmente intelligente e tutti tendevano ad approfittarsi di lui. Una volta diede 80 mila lire a Zago per un "movimento", ma Zago, al suo ritorno, gli disse che aveva trovato un posto di blocco lungo la strada e aveva dovuto buttare via il fumo. Sbuccino non vide nè hashish nè soldi in quell'occasione. Aveva scoperto alcol e fumo recentemente, e con loro, l'ebbrezza della popolaritá fra i ragazzi più grandi, quelli "delinquenti", quelli fighi. Quel ragazzo timido che andava benino a scuola e aveva la testa sulle spalle, nel giro di un anno si era trasformato, si era arrabbiato, o "divagliato", come si dice a Matera. Era stato bocciato quell'anno e avrebbe dovuto ripetere il terzo anno all'industriale, con somma preoccupazione di suo padre, che ora cercava di stargli addosso il più possibile. Alcol e fumo erano anche entrati nella mia vita, ma sono sempre riuscito a mantenere un sano equilibrio fra studio e droghe. I miei amici pensavano stessi perdendo il mio tempo sui libri, lo sanno tutti che molti laureati sono disoccupati al giorno d'oggi. A me studiare non dispiaceva d'altro canto, e cercavo di tenere la mia propensione il più nascosta possibile con loro, non volevo che pensassero che fossi un secchione. Anche perché secchione non lo ero affatto, avrebbero dovuto vedere i miei compagni, e soprattutto compagne, al liceo.

Saliamo in sella ai motorini e partiamo alla volta della sala giochi di Franco, una bettola senza finestre e con luci al neon, con due tavoli da biliardo e quattro calci balilla, sempre piena di reietti di ogni età, perennemente mezzi ubriachi, che riempiono l'ambiente di fumo e tanfo di sigaretta. In effetti ti chiederesti com'è la vita di un uomo adulto che a mezzogiorno si trova in una squallida e puzzolente sala giochi a puntare soldi su una partita di biliardino. Infatti i video poker erano illegali a quei tempi, ma ciò non deterreva l'indole da scommettitore dei molti frequentatori della saletta, di conseguenza i soldi venivano puntati su partite di carambola e biliardino. Salgo sullo Zip nero di Babbeo e ci dirigiamo verso la nostra meta, con la lieve leggerezza nella testa data dall'hashish. Io e Babbeo passavamo molto tempo insieme, eravamo un micro-gruppo nel gruppo, come se ne formano sempre e continuamente mutano. Andava anche lui allo scientifico, aveva appena finito di frequentare il primo anno, e non lo aveva superato. Aveva già deciso di cambiare istituto il prossimo anno, qualcosa più alla sua portata. Un po' mi dispiaceva che il mio amico cambiasse scuola, un po' ne ero sollevato perché troppe volte mi aveva convinto a marinare la scuola, o "fare filone", con lui. Per il resto Babbeo mi piaceva, ascoltavamo tantissima musica insieme e ci scambiavamo i CD: CCCP, Sex Pistols, Ramones, Punkreas, Porno Riviste, Tre Allegri Ragazzi Morti. Non c'è musica più adatta ai 15 anni. Andavamo anche insieme alle feste dei nostri compagni al liceo, era un bel ragazzo che attirava ragazze quasi suo malgrado, e data la fauna solitamente presente a questi party le riserve di alcol erano nostra esclusiva. Di solito formavamo anche una coppia sufficientemente affiatata nel gioco del biliardino, lui in porta ed io in attacco. Con nessun altro del quartiere mi trovavo così bene. La saletta era quasi vuota, la frescura che c'era al suo interno dava un deciso sollievo dall'afa della torrida estate materana. L'immancabile Avvocato stava giocando ad uno contro uno con portieri alzati contro Fia. Si diceva il morbo del gioco d'azzardo lo avesse preso ad un certo punto, ed aveva finito col perdere anche lo studio d'avvocato ereditato dal padre. Nessuno sapeva cosa faceva oggi, a parte scommettere contro Fia nella saletta di Franco. Fia aveva l'anemia mediterranea, si diceva che sarebbe morto presto ma intanto non dava segni di cedimento. Il suo soprannome gli deriva dall'ossessione per la figa, che non riesce a pronunciare correttamente a causa della malattia. Entriamo tutti insieme e cominciamo a fare le feste a Franco, un nonno per noi, pieno di saggi consigli, racconti di epoche andate e gettoni gratis a tarda sera. I convenevoli vengono interrotti dalla risata stregonesca di Fia, che, vinta la partita, intima l'Avvocato di dargli la sua sacrosanta mille lire, in un tripudio di sghignazzamenti e prese in giro. A quel punto arriva anche Sbuccino con un paio di buste della spesa: cartoni di birra da 6, patatine e cioccolato; la situazione non potrebbe migliorare ulteriormente. "Poi non dite che non vi tratto come dei signori!" esclama. Ci dividiamo fra i tavoli della carambola ed i biliardini, mentre l'Avvocato e Fia decidono su chi e quanto scommettere. Una delle situazioni più affascinanti era quella di mettere insieme in squadra me, il più scarso giocatore nei paraggi, e Franco, una sorta di onnipotente del biliardino, in grado di seguire la palla con gli occhi a velocità disumane e fare le scintille quando tirava, per vedere ciò che ne esce fuori. Abbiamo sempre vinto, non c'era maniera di battere Franco. Piccolo, una folta chioma di capelli argentati, occhi azzurri chiarissimi, modi gentili e voce pacata, strideva completamente con l'ambiente circostante ma allo stesso tempo vi si calava alla perfezione. Nella sua storia di gioventù più famosa, Franco era in giro in autostop in Svizzera, quando una gentile signora lo raccolse. Questa signora lo invitò a casa sua per un pasto e magari una dormita, ed andò a finire che Franco ci passò una settimana in camera da letto di questa donna, ma la cosa più strana era che in casa c'era anche suo marito, al quale non dispiacevano affatto le attenzioni di questo giovane bell'italiano nei confronti della sua signora. Passa così un'oretta, fra giochi, birre, sigarette e risate. Un'intensa partita a carambola era in corso fra Droghino e Sbuccino, due dei migliori giocatori del quartiere, l'Avvocato e Fia seguivano con attenzione l'evoluzioni delle palle colpite dalla stecca. Sbuccino era ad una svolta cruciale, aveva un tiro che gli avrebbe praticamente garantito la vittoria finale, ma se lo sbagliava avrebbe dato a Droghino la possibilità di punirlo mortalmente. Sbuccino stava fissando la palla da almeno cinque minuti, con la stecca fra le mani e la sigaretta pendente dalle labbra, quando la porta della saletta si spalanca e una figura scura che non riusciamo inizialmente a distinguere in controluce si staglia sull'uscio. Poi notiamo tutti l'inequivocabile cappello: è il padre di Sbuccino. Quest'ultimo è visibilmente in preda al panico e non riesce a muoversi, tenta pateticamente e comicamente di sputare la sigaretta, che però gli si era incollata alle labbra. Suo padre gliela strappa via, lo prende per un braccio e lo trascina fuori. Capiamo che non avremmo rivisto Sbuccino per almeno una settimana. Lupin sembra alquanto scosso dall'avvenimento, vuole andar via da quel posto, ha bisogno di calmarsi. Decidiamo di andare al locale che avevamo occupato abusivamente nei Sassi, i quartieri antichi della cittá.

Vino

Oggi con il turismo di massa non è più possibile fare una cosa del genere, ma meno di vent'anni fa i Sassi erano ancora per lo più disabitati, e si poteva occupare impunemente qualunque delle centinaia di loculi a disposizione, a volte veri e propri piccoli appartamenti. Di solito andava a finire che qualcuno notava la cosa e chiamava la polizia, la quale poi si recava sul luogo e cacciava via tutti, ma nessuno era mai stato incriminato per una cosa simile. Il nostro locale era vicino la cattedrale, in una delle zone meno abitate degli antichi rioni. Lo avevamo ripulito dalle erbacce e dalle pietre, avevamo messo una porta con lucchetto e catenaccio, portato sedie, tavolo e persino una brandina. C'era anche un caminetto funzionante. Non c'era elettricità, quindi usavamo candele e radio a batteria. Era il nostro piccolo rifugio, il nostro regno, ci riparava dal sole d'estate e dal freddo d'inverno, perfetto per quando "facevi filone", perfetto per quando volevi fumartene una in santa pace. Finora la polizia non si era vista, però un attacco in effetti lo avevamo subito: un giorno avevamo trovato la porta sfondata, sedie e tavolo rovesciati, qualcuno aveva rubato la radio e si era fumato lo "svuotino" decorativo gigante che avevamo appeso al muro. Uno "svuotino" è una sigaretta rullata con solo tabacco, niente hashish; una sera particolarmente noiosa avevamo deciso di rullare lo svuotino più lungo del mondo: attaccammo insieme una quindicina di cartine, lo rullammo in quattro o cinque e poi lo appendemmo al muro con due chiodi, a memoria eterna dell'epica impresa. Poi venimmo a sapere da fonti anonime che era stato lo Schiavo, il quale messo alle strette ci confessò di aver commesso il misfatto. Stavamo per dargli quello che si meritava quando ci implorò perdono e disse che ci avrebbe ridato i soldi di quanto avevamo speso per quel cannone gigante. L'idiota pensava di essersi fumato un enorme joint. Ci facemmo dare 50 mila lire e gli risparmiammo il pestaggio.

Lasciamo i motorini sulla strada, l'unica percorribile da mezzi con ruote, e ci inerpichiamo per le stradine e le scalinate. C'è da camminare cinque minuti buoni per arrivarci. Notiamo il motorino di Schizzo, ci sarà lui al locale. Schizzo era uno del quartiere ma non aveva un gruppo suo, era piuttosto uno che conoscevano tutti ma non aveva veri amici. Lavorava ed aveva la ragazza, ma era un tipo un po' sfuggente, aveva periodi in cui lo vedevi sempre in giro, indaffarato in mille faccende, e periodi in cui spariva dalla circolazione. Ci fidavamo di lui, per questo aveva le chiavi del locale, spesso divideva il fumo con noi e con il clochard che viveva nel loculo accanto. Ogni tanto ci viveva anche nel nostro locale, quando litigava con i suoi genitori e decideva di non tornare a casa per qualche giorno. Inoltre era l'unico che usava il nostro posticino per i suoi incontri romantici, e ci piaceva raccontare in giro che ci venivano ragazze. Gabriel il senzatetto spagnolo e Schizzo erano al locale. Stavano fumando un carciofo, una canna rullata con una tecnica particolare. A Schizzo non importava più di tanto di scambiarsi un filtro insalivato con un vagabondo, alcuni di noi non avevano la stessa disinvoltura. Gabriel girava l'Europa in bicicletta, aveva vissuto in Spagna, in Portogallo ed in Francia, ed ora aveva trovato un rifugio confortevole in questo sperduto meridione italico. Il suo italiano era abbastanza comprensibile, finchè non si sballava, a quel punto non parlava più nessuna lingua conosciuta. Una sera, dopo un sufficiente numero di cannoni, ci raccontò cosa gli era successo, però nessuno riuscì a capire cosa aveva detto. Il bello è che nessuno lo interruppe, parlò per una mezz'oretta, e ad un certo punto si mise a piangere. Un giorno, senza dire niente a nessuno, se ne sarebbe andato e non lo avremmo mai più rivisto. Arriviamo al locale e salutiamo gli inquilini, ci mettiamo subito all'opera per prolungare lo sballo. Lupin è nervoso, fabbrica in brevissimo tempo un siluro "ad elle", con due cartine incollate insieme, che fuma con avidità, passandolo solo quando è ormai a metà. Ma noi siamo troppo euforici per notare il suo malumore, e stiamo rendendo partecipi i nostri compagni di quanto ci è accaduto, e non è poco, nel giro di alcune ore. Quando Babbeo dice: "Avvocà, dammi la mille lire!" tutti scoppiano in una fragorosa risata, tranne Lupin, che sbotta ed esce fuori. Nessuno sembra interessarsene, così esco io a vedere cosa gli succede. Era un po' il mio ruolo come più anziano e più istruito del gruppo ascoltare i problemi dei miei amici e dar loro saggi consigli. Mi piaceva pensare che fossi io il collante che ci teneva uniti. Lupin si appoggia al muretto in tufo antistante l'entrata del nostro nascondiglio, e accende una Pall Mall. Non mi dà neanche il tempo di chiedergli cosa succede che parte con uno dei suoi soliti narcisistici monologhi: "Ho finito il fumo, Sacchè, mò ho rullato l'ultima canna. Sto pure senza una lira. Mi hanno licenziato due giorni fa, sono andato a lavoro ubriaco e mi sono caduti gli occhiali nell'impastatrice. Mio padre me le ha date per il licenziamento e per gli occhiali. Ho speso gli ultimi soldi per questi occhiali nuovi di merda, tengo giusto guarda, quattro, cinque sigarette! Contavo su Sbuccino per farmi dare un prestito ma ora sono fottuto! Non posso stare senza soldi, io sono Lupin, ho un nome da mantenere. E oggi ci dobbiamo sballare!" Aveva il viso paonazzo e gli occhi spalancati dalla rabbia. "Sacchè, vieni con me, andiamo a fare due cose." Ero sempre elettrizzato e lusingato quando Lupin mi coinvolgeva nelle sue avventure. Aveva solo 15 anni ma era già conosciuto da praticamente tutti quelli che contano a Matera. Aveva mollato l'alberghiero dopo due settimane di frequenza e quattro mesi di "filoni", e saltava da un lavoro all'altro. Era sempre alle prese con qualche affare, in ogni momento aveva un appuntamento con qualcuno, di solito per comprare o per vendere droga. Aveva sempre soldi e fumo, un posto dove andare e qualcuno da incontrare. Se andavi ad una festa, un concerto, una dancehall, o qualunque cosa che ricordasse vagamente un evento mondano, potevi essere sicuro di trovarlo lì. Lupin era ovunque e sulla bocca di tutti, Lupin regnava in questa cittá. O almeno questa era la nostra percezione. E la sua popolaritá di certo aiutava a migliorare la mia, per questo andavo fiero nel farmi vedere in giro con lui. Annunciamo agli altri che andiamo a fare un po' di commissioni e che torneremo presto. Babbeo mi ricorda di andare a casa sua per vedere la partita quella sera; lo tranquilizzo, ci sarò di sicuro. Monto sul motorino e Lupin parte di gran carriera. "Quanti soldi hai?" chiede. Avevo solo 10 mila lire, tutto ciò che mi era rimasto delle 50 che mia madre mi aveva dato per andare sulle giostre con i miei amichetti. Le altre 40 le avevo date a Marcostrano quella mattina. "Però ho ancora parecchio fumo" gli dico, "Capirai, non abbiamo manco sigarette, e fra un po' finirò la benzina. Sacchè, così non ci facciamo un cazzo, dobbiamo svoltare." Era chiaro che Lupin avesse un piano. Stiamo andando verso la periferia sud, in uno dei quartieri che delimitano la cittá. Percorriamo una serie di stradine di periferia deserte e arriviamo in uno spiazzo con pochi negozi con le serrande chiuse. Oggi è un giorno festivo, ed è anche l'ora della siesta nella nostra sonnolenta cittadina. In giro non c'è un'anima, sono tutti o alle bancarelle, o alle giostre, o a schiacciare una pennica. Lupin fa il giro verso la parte posteriore di questi negozi, ferma il motorino e scendiamo. Mi fa cenno di seguirlo e a piedi torniamo verso la parte anteriore. Mi passa una sigaretta e se ne accende una. Si mette a smanettare con il cellulare, anche se non ha credito. "Facciamo finta di stare aspettando qualcuno" bisbiglia. A metà sigaretta fa finta di chiamare, finita la sigaretta mima un gesto di impazienza e va verso il citofono di un portone. Urla "Sono io!" a qualcuno dall'altra parte del citofono, pur non avendo premuto nessun bottone. Spinge il portone e questo si apre, non era chiuso a chiave. Mi dice di tornare sul retro ed aspettarlo lì, dopo di che entra e chiude il portone dietro di sè. Vado sul retro e dopo pochi minuti una delle porte posteriori si apre, è Lupin: "Prendi il motorino, portalo qui!" dice il più silenziosamente possibile. Parcheggio il motorino davanti alla porta semi aperta ed entro anch'io. Mi ci vogliono alcuni secondi per abituarmi all'oscurità, poi mi rendo conto di essere in un negozio alimentari. "Afferra tutti i cartoni di vino che riesci a prendere e filiamocela!" dice con un tono di voce che tradisce un certo livello di adrenalina. La sento anch'io l'adrenalina, non ho mai partecipato ad un furto di queste dimensioni. Riusciamo a comprimere otto cartoni di vino nel bauletto del motorino, Lupin sbatte la porta per farla chiudere dall'esterno, e sgommiamo via di corsa cercando di dare il meno nell'occhio possibile. "Come cazzo hai fatto?" gli chiedo, "Quel portone non si chiude e dentro c'è una porticina che dà nel negozio di alimentari, ho una copia della chiave.” Questo era Lupin, tirava fuori le storie più incredibili e ti lasciava di stucco a domandarti come diamine faceva ad avere le mani in queste cose. Ci fermiamo poco più avanti, Lupin apre il bauletto e "stappa" un cartone "Ci dobbiamo sballare forte oggi, Sacchè! Fai una canna!" È su di giri, e lo sono anch'io, è stata un'emozione forte ed ora ho davvero voglia di ubriacarmi. Mentre fumiamo mi dice: "Non abbiamo ancora finito, devo andare a vedere un amico che mi deve dare una cosa." So benissimo cos'è quella cosa: cocaina.

Il punchball

"Pensi di poter mettere cinque mila lire di benzina?"; ovviamente, non c'è problema. Arriviamo alle giostre, che di solito si piazzano nell'ampio parcheggio di fianco la stazione dei pulman, in centro città. Il cielo è terso e il sole è forte sulla marmaglia di ragazzini e ragazzine che affollano i tiri a segno e gli otto volanti, rendendo l'aria densa ed infuocata. C'è elettricità per l'attesa di quello che succederà stasera, e pare che tutti si stiano divertendo un mondo. Anch'io tutto sommato. Dobbiamo trovare Uccello, ha un debito con Lupin ed ha promesso di saldarlo oggi con una contropartita. "Sarà sicuramente al punchball" prevede Lupin. Il punchball era una specie di feticcio, di totem, per i tamarri della città, l'infallibile metro di misura della loro mascolinità, con il quale si dovevano misurare una volta l'anno per stabilire ancora una volta chi era l'alfa. Ragazzi tozzi e tarchiati, dalla tipica silhouette greco-romana, bassi con le spalle larghe date dagli anni trascorsi a perforare strade ed impilare mattoni, si sfidavano a chi tirava il pugno piú forte alla palla di cuoio elettronica. Era una prova d'onore che tutti prendevano con estrema serietà.

Avvistiamo Uccello, che ai tempi aveva appena 14 anni. Era il nipote di un pezzo grosso della malavita locale, e perciò si comportava da completo bullo la maggior parte del tempo, consapevole del fatto che pochissimi in città si potevano permettere di sfiorarlo con un dito. Spacciava cocaina ed ecstasi, da lì a qualche anno sarebbe finito dentro per tentato omicidio. Ho il tempo di vedere un tizio scorticarsi le nocche a causa di un colpo male assestato, ed un altro finire rovinosamente al suolo dopo aver tentato di colpire la sfera con un calcio volante. Lupin mi chiama: "Andiamo al bar a prendere qualcosa con Uccello". Uccello paga il primo giro di campari-gin al bar della stazione, affollato come non mai di gitanti dalle province limitrofe. A quel punto, i due lasciano i bicchieri sul tavolino e si dirigono verso il bagno, io non so bene cosa fare. Lupin mi fa un cenno con la testa e mi indica di seguirli. Il quattordicenne estrae una bustina ed una carta telefonica, mette un po' di polvere bianca sulla custodia di un CD che aveva nel marsupio, e la schiaccia con la scheda. In seguito allinea tre striscie di polvere uguali, e porge a Lupin una 50 mila lire arrotolata. Osservo bene quello che fa Lupin, devo sembrare naturale. Mi porge la banconota, che stringo bene per non farla srotolare, mi chino sulla custodia, e tiro tutto su da una narice. Uccello finisce l'ultima striscia, nessuno dei due ha ancora detto una parola. "Spero che ora siamo pari, Lupin." "È tutt'apposto, fammiti offrire un altro campari-gin". Ovviamente devo pagarlo io, e dò fondo ai miei ultimi risparmi. Ora siamo ufficialmente senza una lira ma con tanta droga ed alcol. Durante il secondo cocktail la coca comincia ad entrare in circolo, cominciamo a ridere e a darci forti pacche sulle spalle, ora dobbiamo uscire in strada a sfogarci. Non mi ero mai sentito così, vuoto il campari-gin d'un fiato e sento che potrei vuotarne altri cinque di seguito. Voglio correre e voglio andare sulle macchine da scontro, ma soprattutto ho bisogno di una sigaretta. Uccello, appena usciti fuori, accende il "pinguino", cioè la sigaretta che ha strofinato sulla custodia del CD, catturando gli ultimi granelli di polvere bianca. Tornando verso il punchball, Lupin si gira verso di me e mi lancia uno sguardo d'intesa: "Te l'avevo detto che oggi ci saremmo divertiti" sottintende. Arrivati sul luogo qualcuno, notando il nostro arrivo, ha la malaugurata idea di cominciare a prendere in giro Uccello, molto basso di statura: "Ma tu perchè stai sempre qua? Non ti ho mai visto tirare un pugno, che c'è, non hai le palle?" Il folle non sapeva con chi stava parlando, nè sapeva che Uccello bazzicava lì perchè era quello il punto in cui poter comprare della cocaina. "Mò lo tiro un pugno, aspè, fammi trovare i soldi" dice Uccello, piegando la testa in avanti come a frugarsi nelle tasche. Improvvisamente, il quattordicenne carica verso il malaugurato colpendogli con la testa il mento dal basso verso l'alto e mandandolo a terra. La faccia del tizio comincia a riempirsi di sangue mentre Uccello gli sferra calci nelle costole. Gente accorre per dividerli, Lupin mi tocca un braccio e mi fa cenno di toglierci di torno alla svelta. Corriamo verso il motorino e in pochi minuti siamo nuovamente diretti verso il locale nei Sassi brandendo un cartone di vino a testa.

La maglietta

Arriviamo al nostro nascondiglio scavato nel tufo quando il sole sta tramontando, felici nel trovare i nostri amici ancora lì e piú fusi che mai. Droghino e Pippo hanno messo la loro solita musica reggae al mangianastri e stanno ballando tenendosi a braccetto sulle note di una canzone di Alpha Blondy. Babbeo, Schizzo e Gabriel sono seduti sulla brandina e sembrano immersi in una conversazione di quelle profonde, filosofiche. Ci sono tre canne in giro per cinque persone. Sento la necessità di metterne in circolo un'altra, quindi comincio a darmi da fare. Non ero ancora un rullatore professionista come Lupin e Droghino, ma me la cavavo, meglio di Sbuccino di sicuro. Il mio complice fa un'entrata trionfale con alcol e droga per tutti. In pochi minuti prepara sei striscie, dopo aver chiesto a Gabriel se gradiva della cocaina, per rispetto piú che per vera convinzione. "Se senti la goccia che ti scende in gola significa che è buona" sentenzia Lupin, dopo aver tirato la prima botta. Droghino e Pippo usufruiscono prima di me, Schizzo è l'ultimo. "Di solito non faccio uso di questa roba, io sono uno naturale, ma quando è franco ungimi tutto!" ride Schizzo. Intendeva dire che la roba gratis va sempre accettata.

Passiamo un'altra mezzoretta al locale, poi arriva quasi l'ora della partita e bisogna muoversi. Siamo tutti d'accordo nel trovarci dopo la finale per andare ad una festa sul lato opposto dei Sassi, in un altro dei tre rioni che compongono gli antichi quartieri. È in un centro sociale che è stato occupato da poco, uno dei tanti tentativi di aprire spazi condivisi, tentativi che sono sempre stati repressi dalle autorità locali, però per ora il centro è piú che attivo. Ho promesso a Babbeo che avrei guardato la partita a casa sua con suo padre, visto che l'idea di guardarla da solo con lui gli dava la nausea. Era figlio unico, ed era stato bocciato quell'anno, non era un'estate facile per lui. Io d'altro canto ero l'amico che tutti vorrebbero presentare ai propri genitori, per tranquillizzarli sulle proprie frequentazioni: andavo bene a scuola e facevo sport, non avevo apparentemente grilli per la testa, ero un bravo ragazzo. Lupin mi diceva sempre di salire a casa sua quando doveva prepararsi per lo stesso motivo, per intrattenere un po’ sua madre con le mie storie di scuola, bevendo tè in salotto. Io invece guardo la partita col padre di Babbeo perchè non è mio padre, e pizza e birra sono gratis. Salutiamo Gabriel e scendiamo le lunghe scalinate in pietra che ci separano dai motorini. Lupin chiude il locale e rincorre Schizzo per dargli le chiavi che aveva dimenticato. "Com'è che non hai le chiavi del motorino?" nota. "Non ci crederai, quel coglione del mio Grillo si accende con qualunque chiave. Ho perso le chiavi tempo fa." ride Schizzo. Afferra le chiavi di casa ed accende il motorino, continuando ad imprecare di quanto sia stronza questa tecnologia. "Dove vai stasera, Schi'?" chiede Lupin. "Ad una festa, qui in giro. Ce lo vediamo, uagnú." Schizzo si congeda. Salgo sullo Zip nero e accendo una sigaretta, erano quattro settimane che aspettavo questo momento.

Dopo il gol di un impensabile Delvecchio, Babbeo va a prendere la maglia dell'Italia e la indossa, già pronto per i festeggiamenti. Quindi abbiamo perso quella finale per colpa sua. Al gol di Wiltord a tempo scaduto, se la toglie di dosso e comincia a tirare giú bestemmie, con suo padre che gli dice "Parolacce sì, bestemmie no". Poi Trezeguet segna l'unico golden gol della storia del calcio e Babbeo scaglia la maglietta sul pavimento, accusandola della disfatta. Pazienza, è ora di uscire a bere e fumare, e perchè no, vediamo che altro ci riserva la serata. Siamo completamente lucidi ora, la pizza e l'adrenalina per la vittoria sfiorata hanno fatto il loro corso. "Speriamo che Lupin abbia ancora un po’ di bamba"; concordo. Salutiamo il papà di Babbeo ed usciamo nella notte. Si sente l’eco delle giostre e degli schiamazzi della gente festante in lontananza. Prendiamo il motorino e ci dirigiamo verso casa di Lupin, che raggiungiamo in 30 secondi circa. La luce del garage è accesa, significa che Lupin è lì. Bussiamo sulla saracinesca chiusa e ci annunciamo, Lupin dice "È aperto", il che significa che bisogna fare il giro da dentro il portone ed usare la porticina che poi conduce al garage. Mai e poi mai aprire la saracinesca che dà sulla strada, una regola che conoscevamo tutti e se non la sapevi eri un intruso. Lupin ha un cannone in una mano ed un cartone di vino nell'altra. Non sembra aver guardato la partita, la sua mente è completamente altrove. "Uagnú, questo è l'ultimo cartone di vino e anche la coca è quasi finita, ho giusto le ultime cinque botte per noi. Questa è pure l'ultima canna. Voi come state messi?" La porta del garage si apre, è Pippo, che non si è neanche preoccupato di bussare alla saracinesca. "Citt, Lupin, che si sente da fuori!" lo avverte. Lupin ripete la domanda, passiamo rapidamente in rassegna le quantità residue di soldi, hashish, sigarette e benzina. Non stiamo messi bene, non abbiamo una lira in quattro, ed io sono l'unico ad avere ancora del fumo. Pippo non ha neanche preso il motorino; "Mi voglio ubriacare brutto stasera" promette, alquanto ottimisticamente. "Magari Droghino ci salva tutti" spera Lupin, "Droghino non esce stasera" interrompe Pippo "sono già passato a chiamarlo, sua madre ha detto che è andato a dormire", "Ma che cazzo!" urla Lupin. Non era la prima volta che Droghino disertava una serata, ed ultimamente stava accadendo sempre piú spesso. Certe volte non si faceva vedere per l'intera giornata. Erano le prime avvisaglie di una depressione che lo avrebbe messo fuori gioco per diversi anni. "Vabbè, fanculo, facciamoci queste striscie e poi andiamo alla festa, magari svoltiamo lì in qualche maniera", "Massì, ci sarà da bere e da fumare sicuro, poi magari troviamo qualche femmina" lo incoraggia Pippo. Finiamo cocaina e vino, rullo un'altra canna che fumiamo in cinque minuti, e siamo pronti per andare a spaccare il mondo. Il tragitto verso il centro sociale procede tra urla moleste, sigarette e clacsonate alle poche ragazze che stanno già percorrendo la via di casa a piedi. La massima concentrazione in questo momento è nella piazza principale, dove il carro è stato appena distrutto e civili e carabinieri si stanno addensando. Il momento migliore per organizzare una festicciola in un locale occupato.

 

Le ragazze

Parcheggiamo i motorini il più vicino possibile. C'è sempre qualche stradina troppo stretta o qualche scalinata da fare quando si va nei Sassi, un pezzo da fare a piedi è una costante. La musica è altissima, c'è gente ovunque dentro e fuori il locale, in questo momento molti sono vicino al parapetto che dà sul canyon sul cui lato è stata costruita la parte antica della città. I fuochi d'artificio, rappresentanti il culmine cerimoniale della nostra festa patronale, stanno illuminando a giorno e rimbombando nella gola, e ne avranno per la prossima ora. Entriamo quando c'è Police di Anthony B sparata nelle casse; "Uagnù, 'sta canzone è amara!" esclama Pippo, e si tuffa nella dancehall. I dj set reggae stavano prendendo piede a Matera in quel periodo e non sarebbero mai più passati di moda. È il miglior modo per evadere dalla massa di incamiciati bevitori di mojito che affollano i locali in e le strade della movida della nostra città. Quella gente ci faceva ribrezzo. Puntiamo diritti verso il tavolo degli alcolici, c'è ancora qualche birra e qualche bottiglia a metà. Babbeo impugna una Ceres e comincia ad attaccare bottone con una ragazza, ho sempre invidiato la sua sfrontatezza. Lupin mi fa "Ho ancora un pochino di bamba, andiamo in bagno". Dopo quell'ultimo schizzo di cocaina io e Lupin afferriamo una mezza bottiglia di Jack e ce la scoliamo mentre giriamo per il locale salutando persone e chiedendo sigarette per le canne. Ricordo solo che ad un certo punto Pippo era in bagno a vomitare e Babbeo era in un angolo a limonare con una, mentre io non avevo mai trovato tanta gente che conoscevo nello stesso posto, stavo preso bene e parlavo con tutti. Ma non sarebbe durato per molto. Avevo perso di vista Lupin e quando finalmente compare mi dice: "Sacchè, dobbiamo andarcene da qui".

Percorriamo circa duecento metri con il motorino e ci fermiamo ad una fontana. Lupin scende e beve; aspetto una spiegazione. Finalmente si gira verso di me, mi guarda con un sorriso smagliante ed estrae due cellulari dalle tasche posteriori dei jeans. "Ho rubato due cellulari da delle borse che ho trovato in giro, ora li andiamo a vendere e compriamo l'altra coca!" Lupin non sembrava mai averne abbastanza oggi, sembrava indemoniato, ed io che lo conoscevo bene, sapevo che tante volte si era messo nei guai perchè non riusciva a capire quand'era il momento di smettere. "Va bene", gli dico, "che cosa vuoi fare?". "Andiamo a Lanera, se troviamo Marcostrano e gli altri magari riusciamo a scambiarli per un pò di roba. Fai una canna e poi ci avviamo", "È l'ultima", "Proprio per questo dobbiamo trovare gli altri!". Ma mentre stiamo fumando vediamo due ragazze arrivare di corsa una cinquantina di metri da noi. Saliamo immediatamente sul motorino per darcela a gambe, ma il motore non si accende. "Abbiamo finito la benzina" dice Lupin sconsolato. Le ragazze ormai ci hanno raggiunto, sembrano avere sui 15 o 16 anni, vestite in uno stile che secondo i canoni dell'epoca sarebbe stato definito "alternativo". "Lupin, ce li hai tu i nostri cellulari?" dice una. "Per favore, ridacci i cellulari, i miei mi ammazzano se lo perdo." dice l'altra. "Come fate a sapere che ce li ho io?" "Perchè tu sei Lupin, e poi ti abbiamo visto scappare via." "E se non volessi ridarveli?" "Faremo qualunque cosa, basta che ce li ridai!" Questo era uno sviluppo decisamente inaspettato. Francamente ero molto sorpreso dalla piega che aveva preso la situazione, mi sembrava strano che le ragazze non avessero trovato nessun amico disposto ad aiutarle. Forse erano tutti troppo fatti per capire un discorso di qualunque tipo, o forse nessuno voleva avere a che fare con Lupin. Costui mi lancia un altro sguardo d'intesa dei suoi, e dice: "Andiamo in quel vicolo allora, ci fate un pompino e dopo vi ridò i cellulari". Prende una delle due sotto braccio e si avvia verso uno dei vicoletti scarsamente illuminati che davano verso il dirupo. Io sono molto combattuto e non so bene cosa fare. L'idea di costringere una ragazza a praticarmi del sesso orale non mi elettrizzava, ma d'altro canto una situazione del genere non capitava spesso e dovevo dimostrare a Lupin che anch'io ero "delinquente". Alla fine, maledicendomi, le dico di seguirmi e quando siamo abbastanza appartati le dico: "Guarda, non devi fare niente, basta che fai finta che l'hai fatto così Lupin ti ridà il cellulare". "Sei un bravo ragazzo, Sacchetto, non lo dimenticherò". Non so lei, ma io di certo non ho mai dimenticato quell'episodio e quelle parole. Dopo neanche cinque minuti i due tornano. "Già fatto, Sacchè?" grida Lupin con la sua voce stridula, e scoppia a ridere. Le due ragazze si ridirigono verso il locale a passo svelto, Lupin le guarda allontanarsi e mi chiede: "Allora, com'era?" "Ho avuto di meglio", mento, cercando di darmi un tono. "Che facciamo ora?" "Mò andiamo a Lanera a vendere quest'altro cellulare!" e tira fuori un ennesimo telefonino dalla tasca. "Me lo volevo tenere io perchè è bello, però a 'sto punto lo vendiamo, mò sto fatto di bamba e voglio continuare a stare così." "Ci metteremo un'oretta ad arrivare a Lanera a piedi, a quel punto ti sarai completamente ripreso e non ne varrà più la pena" cerco di farlo ragionare. Non avevo nessuna voglia di andare a Lanera e passare il resto della nottata con quei rubagalline, erano d'altronde le stesse persone che cercavo in tutti i modi di evitare. "Non me ne frega un cazzo, Sacchè, io vado, se vuoi vieni". Ed a quel punto non potevo far altro che andare con lui, ne andava della mia reputazione.
 
La sbarra

Dopo neanche 100 metri di camminata alla luce bianca dei lampioni avvistiamo il motorino di Schizzo parcheggiato sul marciapiede. "Il Grillo di Schizzo, Sacchè! Quello è Cristo che vuole che dobbiamo strafarci stanotte!" "Dobbiamo almeno avvertirlo, fagli una chiamata con l'altro cellulare." "Non lo posso accendere, se no mi sgamano! Lo prendiamo per una mezz'ora, un'oretta al massimo, non se ne accorgerà neanche." Lupin ormai era a ruota, era impossibile fermarlo. Infila la prima chiave che pesca dal mazzo nell'accensione del vecchio 50, lo accende e vi monta su. Monto su anch'io in qualche modo, il Grillo non è di certo fatto per andare in due. Arrancando e rischiando di cadere tante volte, percorriamo le vie della città quando il traffico sta ormai scemando, diretti verso Lanera, un quartiere limitrofo al nostro ma più vicino al centro città; Lupin ad ogni occasione suona il ridicolo clacson che è un misto fra un campanello da bicicletta ed una cicala. Arrivati sul luogo,

come previsto, c'è un gruppetto di ragazzi e ragazze a bivaccare sotto le scale in ferro che portavano alla stazione dei treni, chiusa a quell'ora. L'ilarità esplode alla nostra vista, sicuramente eravamo un bello spettacolino così in bilico su quel vecchio motorino scassato: Lupin con le gambe lunghe e sottili (un'altra somiglianza con il personaggio dei cartoni) che teneva aperte e larghe per darsi equilibrio, ed io rannicchiato dietro di lui che cercavo di usare un pezzettino minuscolo del sellino per sedermi e per mantenermi. "Oh, vedi a Lupin e Sacchetto col motorino di Schizzo! Che state a fare, uagnù!" urla qualcuno. Lupin riesce a fermare il Grillo e in qualche modo scendiamo. Marcostrano è lì e ci viene incontro con quel suo sorriso a 32 denti che tante volte era stato presagio di brutti avvenimenti. Era un sadico, si divertiva a prendere in giro ed insultare i ragazzi più deboli, o a metterli in imbarazzo di fronte a tutti, ma nessuno osava sfidarlo, era parecchio forte fisicamente. Tendeva ad usare ed a sfruttare le persone, non aveva amici, aveva solo complici che trascinava nelle sue malefatte finchè non succedeva qualcosa e doveva trovarsene altri. "Che hai rubato il motorino di Schizzo, Lupin?" chiede Marcostrano, ancora ridendo. "L'ho preso in prestito. Penso di avere una cosa che ti potrebbe interessare." I due si appartano a parlare lasciandomi lì solo. Tutto il buonumore mi è passato ed ora vorrei solo andarmene a casa. Non ho la più pallida idea di come interagire con questa gente. Chiedo se posso prendere una lattina di birra e mi siedo sul pavimento, cerco di sembrare di compagnia. Dopo una decina di minuti durante i quali nessuno mi rivolge la parola, il mio amico ed il mio nemico sono di ritorno, entrambi ridendo e scherzando, soddisfatti della transazione. "Beh, facciamocene una a 'sto punto!" propone Marcostrano, il solito scroccone. "Sacchè, vieni qua" mi invita Lupin. Ci facciamo l'ennesimo tiro di coca e quando inizia a salire l'effetto Marcostrano non trova di meglio da fare che cominciare a prendersi gioco di me. "Tu sei un giocatore di pallanuoto, è vero Sacchè? Vediamo quanto sei forte!". Io lo sapevo perchè sentiva l'impulso di umiliarmi e maltrattarmi, era lui che era troppo stupido per saperlo. 18 anni come me, aveva però già pienamente sviluppato il fisico, aveva praticamente cominciato a vessarmi dal primo momento in cui mi aveva visto, ed eravamo vicini di casa. Ritiratosi in prima o seconda media, ogni tanto aveva qualche lavoretto che però non riusciva a mantenere per più di due o tre settimane; campava di furti e spaccio. E sentiva che io ero diverso, ero un pesce fuor d'acqua nel quartiere trascurato, periferico e popolare nel quale siamo cresciuti, avevo una buona famiglia alle spalle, che mi spronava ad andare a scuola e fare sport. "Vieni qui Sacchè, fai un po’ di sollevamenti!" e lì mi afferra, mi solleva, e mi fa appendere con le mani ad una sbarra a circa due metri e mezzo da terra che sormontava l'ingresso della scala in ferro. Vorrei che quest'incubo finisca il prima possibile, quindi obbedisco e comincio a piegare le braccia e sollevare il corpo verso l'alto. Ero al massimo della forma a quell'età e giocavo a pallanuoto regolarmente, potevo tranquillamente fare 20, se non 30 piegamenti, di seguito. Irritato dal fatto di non essere riuscito a mettermi in difficoltà, Marcostrano mi prende le gambe e inizia a dondolarmi. Comincio ad accusare la fatica. "Vai Sacchè, dondola! Dondola!" urla Marcostrano, più in botta che mai. Gli altri ragazzi ridono, una ragazza prova timidamente a dire: "Ragà, mò si farà male". Non riesco più a tenere la presa e mi lascio andare, faccio un volo di un paio di metri per atterrare sul coccige prima e sulla parte posteriore della testa poi. Come batto la testa al suolo, faccio finta di svenire: non c'è altro modo per togliermi da quella situazione. "Cazzo, l'abbiamo ucciso!" dice qualcuno; Lupin si inginocchia e comincia a schiaffeggiarmi: "Oh Sacchè! Tutt'apposto? Sacchè!", urla. Faccio finta di riprendermi e dico che voglio andare in ospedale. "Ti ci porto io, andiamo!" esclama Lupin, il che era proprio quello che speravo accadesse. Una delle ragazze ci offre il suo motorino, montiamo su e partiamo. Appena siamo fuori dalla loro vista, rido e dico a Lupin che in realtà stavo benissimo e volevo solo tirarmi fuori da lì. Lupin anche ride: "Sei un grande, Sacchè! Io non ci avrei mai pensato! E abbiamo anche cinque grammi di co..." non riesce a finire la frase che una macchina proveniente da un incrocio non rispetta uno stop e frena troppo tardi, urtandoci e mandandoci sull’asfalto. Il conducente della macchina immediatamente accorre, è un signore sulla cinquantina con famiglia appresso. "Tutto bene, ragazzi? È meglio se vi porto in ospedale." "No, grazie, stiamo bene" lo rassicura Lupin, ma l'uomo non sembra convinto: "Siete sicuri? Allora chiamo la polizia per il verbale, almeno, non vorrei essere imputato per omissione se poi vi sentite male". "Va bene, andiamo in ospedale, non mi sto sentendo bene", dice Lupin. Guidavamo in due senza casco un motorino non nostro, avevamo cinque grammi di coca addosso, avevamo appena rubato e rivenduto un cellulare: non mettere in mezzo la polizia sembrava la cosa più saggia da fare. Il tragitto in macchina verso l'ospedale passa rapido e sfocato nella mia mente, dopo pochi minuti siamo al pronto soccorso e Lupin si fa ricoverare per accertamenti. Io sto bene, e gli dico che lo aspetto al bar dell'ospedale. Il signore cinquantenne pare essersi tranquilizzato e finalmente se ne torna a casa. Io voglio solo la birra della staffa e andarmene a letto, è stata una giornata incredibile. Che però non aveva nessuna intenzione di finire.

 

Il lago

Ho quasi finito la birra e sto considerando l'idea di tornarmene a casa da solo, quando una BMW grigia si ferma fuori dal bar e comincia a suonare il clacson. Vedo solo la persona sul sedile del passeggero e mi sembra essere Drago, forse mi vuole salutare. Esco e vedo che Lupin è alla guida della BMW, che diamine era successo? Salgo in macchina e i due ragazzi sono chiaramente sotto l'effetto di stupefacenti; Lupin si avvia ad alta velocità nelle strade deserte, diretto fuori città, mentre mi racconta cos'aveva combinato durante la mia assenza: mentre era nell'ambulatorio ad aspettare il dottore per la visita, si era messo a frugare negli armadietti, aveva trovato un camice, aveva cercato nelle tasche ed aveva trovato le chiavi di una BMW. Dopo la visita, all'uscita dall'ambulatorio, Lupin aveva trovato Drago in sala d'attesa: anche lui, ubriaco, si era schiantato con il motorino. I due erano quindi usciti nel parcheggio e grazie al telecomando dell'antifurto avevano individuato la BMW. Lupin non aveva trovato altro di meglio da fare che rubarla.

Stavamo ora andando verso il lago, radio a tutto volume e risate isteriche che risuonavano rumorose dai finestrini abbassati. "Attrezza le striscie!" ordina Lupin, più adrenalinico che mai. Drago trova un CD nel cruscotto e prepara tre piste di cocaina, e dopo aver tirato su la prima ed avermi passato la seconda, tenta di far tirare su la terza da Lupin mantenendogli sotto il naso banconota e CD, ma Lupin perde il controllo del mezzo e finisce fuori strada. La macchina slitta sull'erba umida di rugiada delle prime luci dell'alba e finisce nel bagnasciuga del lago artificiale, dove si spegne e si ferma. Lupin manda giù un paio di bestemmie e tenta di riaccendere il motore, ma non c'è niente da fare. Non ci resta che tornarcene a casa a piedi, e saremo almeno a 10 chilometri di distanza. Ci avviamo mestamente verso la città camminando sul ciglio della strada, con i miei due compagni di avventura che si incolpano a vicenda per l'incidente, mentre fanno capolino i primi raggi del mattino. "Speriamo che passi qualche macchina così facciamo l'autostop" tento, "Chi vuoi che passi a quest'ora dopo la festa, al massimo becchiamo gli sbirri" dice Drago. "Non dirlo neanche per scherzo" comincia Lupin, quando sopraggiunge dal senso opposto una volante che, appena ci vede, accende la sirena. "Drago, allora è proprio vero che porti scarogna, puttana della eva di quando ti ho incontrato stasera!" urla Lupin. "Tutto bene, ragazzi? Dove state andando?" dice il poliziotto alla guida. "Abbiamo fatto incidente con il motorino e stiamo tornando a casa" prova Lupin, ma lo sbirro lo interrompe: "Incidente con il motorino in tre? Non è che sapete niente di una BMW rubata?". L'altro poliziotto è intanto già fuori e ci sta prendendo le generalità; in breve ci mettono in macchina e ci portano al commissariato. Non ero mai stato arrestato prima e un po’ spero che qualche compagno di scuola mi veda mentre mi portano dentro, e che poi la voce si diffonda al liceo, così che tutti sappiano che razza di tipo losco sono e sarò il più popolare dell'istituto. Sono ancora sotto l'effetto della cocaina, dell'hashish, dell'alcol e di tutti gli avvenimenti che erano successi in quell'incredibile giornata per rendermi conto della gravità della situazione, ciò che sta accadendo ora sembra solo un altro episodio di questo giorno che non vuole finire. Sono ancora come in trance quando ci mettono in tre celle separate. Sono seduto da solo da almeno dieci minuti quando finalmente entrano due poliziotti senza divisa, si siedono anche loro.

"Allora, ci vuoi dire chi ha rubato la macchina? L'abbiamo già recuperata e sappiamo che tutti e due i tuoi amici erano all’ospedale quando la macchina è stata rubata. Loro hanno già confessato, rimani solo tu ora. Se collabori ti lasciamo andare senza neanche chiamare i tuoi genitori." "Innanzitutto sono maggiorenne e non avete motivo di chiamare i miei, poi se sapete già chi è stato perchè me lo richiedete?" dico. "Vogliamo vedere se hai uno spirito collaborativo o se sei un piantagrane". Le solite tecniche idiote da sbirri. La prima istintiva risposta che mi viene da dare sarebbe di mandarli a quel paese, non ero così stupido da abboccare ai loro giochini da quattro soldi, e soprattutto non tradivo gli amici. Solo che a quel punto ho avuto il momento di lucidità, in quel momento d'improvviso non riuscivo a credere di essere rimasto coinvolto in una situazione del genere. L'unica mia colpa era stata quella di non abbandonare un amico in un momento di difficoltà. Un amico, Lupin. Era veramente mio amico? Tante volte aveva dimostrato di essere interessato molto più ai suoi affari che ai suoi amici. Poi fra un anno sarei andato all'università, mi sarei dovuto trasferire altrove, e Lupin non lo avrei visto più tanto spesso. Ho capito a quel punto che i nostri destini sarebbero stati sicuramente divergenti da lì a pochi anni. Inoltre, potevo davvero permettermi di frequentare uno come Lupin, con le ambizioni che avevo? La risposta era che non potevo. "Non so chi ha rubato la macchina, io ero al bar, mi sono venuti a prendere da lì, posso solo dire che Lupin guidava. Ad un certo punto ha perso il controllo e siamo finiti in acqua." "E della cocaina che abbiamo trovato in macchina sai niente?" "No." "Va bene. Firma il verbale e vattene." Alla fine era successo che Drago aveva comunque incolpato Lupin e Lupin aveva confessato, quindi la mia deposizione non ha avuto nessuna rilevanza.

Fuori l'aria si è fatta tiepida, è una splendida mattinata di inizio luglio. Diversi chilometri mi separano da casa, ma in questo momento non desidero altro che camminare un po’ per schiarirmi le idee e smaltire la sbornia. D'altronde da lì a poco dovrò spiegare a mio padre come mai stavo tornando a casa alle nove del mattino.