martedì 7 novembre 2017

La Desooorden - Ciudad de Papel (2007)

I La Desooorden sono un gruppo cileno attivo dal 1994 e che ha pubblicato 5 album in totale, di cui questo Ciudad de Papel e' il penultimo. I primi tre album sono un attimo diversi rispetto a quello in questione, piu' orientati verso il jazz e la musica tradizionale cilena, mentre Ciudad de Papel, pur partendo da una base jazz e folk, si arricchisce di elementi dark e persino doom, rendendo il sound estrememante eclettico e vario. E' proprio l'estrema varianza il particolare di spicco di questo album, poche band oggigiorno riescono ad incorporare cosi' tanti stili senza risultare pretenziosi, caotici o eccessivi; ogni nota e' misurata, ogni intreccio estremamente curato, in ogni frangente si sente lo sforzo della band nel cercare equilibrio, semplicita' ed armonia.
I La Desooorden decidono di affrontare argomenti difficili nelle loro liriche, come politica, societa', episodi storici scomodi, e piu' volte sono stati finanziati dal governo stesso nelle loro opere, essendo i loro album riconosciuti come patrimonio culturale nazionale. Ciudad de Papel parla infatti di inquinamento e cambiamenti climatici.

Il gruppo si schiera con una formazione di sette elementi, con due cantanti di ruolo ed ampia strumentazione, proprio per quell'ecletticita' di cui sopra: Alfonso Banda suona la chitarra, Fernando Altamirano e' cantante e suona la trutruca, che e' uno strumento tradizionale cileno a fiato, Francisco Martin suona basso, piano e didgeridoo, Karsten Contreras e' il secondo cantante, e suona anche l'ocarina, Peter Pfeiffer suona sax, tromba, didgeridoo, trutruca ed ocarina, Benjamin Ruz e' il violinista, infine Rodrigo Gonzalez suona batteria e prcussioni.
L'album, della durata di un'ora, scorre fluido e piacevole, senza momenti di stanca, risultando molto interessante in ogni suo frangente; e' diviso in 12 tracce della massima durata di sette minuti e mezzo, che possono anche essere molto diverse fra loro, ma ogni traccia cerca di trovare consistenza, coesione interna, visto che di certo non si puo' parlare di omogeneita'. Pur presentando cambi di tempo ed umori diversi al proprio interno, ogni traccia cerca comunque di mantenere al minimo la varianza. La cosa bella e' che si percepisce comunque un senso di continuita' passando da una canzone all'altra. Il risultato e' dei migliori.
Il lavoro si apre con Fumarolas Del Alma, che presenta elementi folk, quindi percussioni e chitarra acustica; si respira decadenza per buona parte della canzone, il finale e' molto piu' elettrico. Si prosegue con Ciudad De Papel, e stavolta l'atmosfera si fa doom, grazie ad un trascinante basso e con una interessante tromba a condurre, quando non sono pesanti riff di chitarra; canzone molto variegata che finisce con uno strumento che sembra essere uno scacciapensieri, ma non ne sono tanto sicuro. La terza traccia, El Llamado del Totoral e' un intermezzo di due minuti e mezzo con didgeridoo e percussioni, molto folk e tribale nel suo incedere; segue El Gran Acuerdo che cambia ancora le carte in tavola: introdotta da fiati e voce, evolve in un jazz elettrico e spedito, con ottimi intrecci fiati/chitarra. Migraciones Eternas e' la seconda traccia piu' lunga del disco, dopo Fumarolas del Alma, e prosegue sulla falsariga della precedente: base jazz ma basso pesante e pulsante, si colora presto di doom e comincia a correre spedita con gli strumenti che pestano alla grande, per poi arrestarsi a meta' e tornare su lidi jazz, caldi e rassicuranti, salvo poi il sopraggiungere di un canto tribale a rendere l'aria inquieta e nervosa, coadiuvato dai fiati, che porta cosi' a termine una delle tracce migliori del lotto. Dopodiche' si cambia ancora: sono solo io a pensare che le voce angeliche dei bambini quando cantano in un coro sono terribilmente inquietanti? La Voz de los Niños e' composta esclusivamente da un coro di bambini accompagnato da solo piano, si tratta di un altro intermezzo di quasi tre minuti, degno della soundtrack di un film horror. Il settimo brano, Acción Por los Cisnes vede un'introduzione jazz, poi percussioni e chitarra distorta rendono bene un'atmosfera tesa e nervosa, senza discostarsi troppo da territori jazz, che vengono calpestati anche per il finale, piu' calmo e melodico, con canto e fiati quasi ipnotici. Tralcao (Lugar de Truenos) sembra quasi una canzone dei 99Posse e il cantato sembra quasi napoletano: percussioni, voce e scacciapensieri descrivono un groove ipnotico al massimo, che sfocia in Homínidos (Historia de Seres Nerviosos), brano seguente, strumentale hard rock, abrasivo ed aggressivo, condotto da perfetti intrecci di chitarra e fiati. La decima traccia, Los Trabajadores, e' piena di controtempi e tempi dispari, pesante ed opprimente, con ottimi duelli basso/chitarra inframezzati dalla voce e dai fiati. Infine, E·N·E·U·J (Esto No Es Un Juego) e' la canzone piu' metal, la piu' aggressiva del disco, con chitarra e batteria che corrono a mille, mentre Boletos Para Ir, che chiude l'album, e' ancora una volta diversa nello stile, piu' calma e triste, con i fiati che si fanno piu' melodici e la chitarra che si fa acustica, una voce decadente ne e' grande protagonista.
Personalmente ritengo Ciudad de Papel uno dei migliori album di prog eclettico, sia dal punto di vista della musica che dei testi; un album equilibrato, lungo al punto giusto, interessante e coinvolgente, che racchiude alcune canzoni che sono dei piccoli capolavori.

sabato 2 settembre 2017

Devolution

Viviamo tempi strani, il 2016 e' stato un anno bizzarro e il 2017 sta risultando essere ancora piu' bizzarro. Se fossi un sociologo piu' lucido saprei produrre un'analisi, ma in questo ci viene incontro il mio caro amico Luther, che ha due lauree in materie sociologiche ed e' un profondo conoscitore della varieta' del genere umano:


"Piccolo esercizio di immaginazione distopica: riuscite a concepire un mondo al contrario, in cui ogni buonsenso, ragionevolezza e umanità siano totalmente ribaltati a favore del loro opposto?
Un mondo in cui l'infame progenie di razzisti e fascisti chiagne e fotte tacciando di fascismo e intolleranza chiunque voglia censurare il suo ostentato fascismo intollerante e repressivo.
Un mondo in cui i più beceri reazionari, i seguaci dell'autoritarismo più pregiudiziale e nauseabondo, del capitalismo più marcio e spericolato, dei peggiori plutocrati che siano mai esistiti, si atteggiano a paladini splendenti dell'anticonformismo, della ribellione, del libero pensiero e finanche della moralità popolare, che tanto si sa che il popolo è un'entità monolitica e indifferenziata e chi dice il contrario è un radical chic.
Un mondo in cui le organizzazioni non governative, chi si sbatte per fare volontariato, chi empatizza verso i miserabili e gli emarginati, chiunque faccia del bene in modo disinteressato, insomma, i cari vecchi buoni di foggia disneyana, tutt'a un tratto passino di moda e diventino nella coscienza collettiva "buonisti": medici senza frontiere viene sistematicamente accusata di fare segregazione razziale (?) e schiavismo (?!?) e chi salva quotidianamente la vita di milioni di persone in italia e in giro per il mondo deve per forza specularci o lucrarci su, perchè sia mai che oggigiorno qualcuno faccia qualcosa per nulla o peggio per mero spirito di umana solidarietà, signoramia.
Un mondo in cui frotte di neopagani invasati rifiutano vaccini e altre terapie ampiamente collaudate, paventando rischi apocalittici sulle nuove generazioni e vomitando bile contro qualsiasi forma di sapere accademico istituzionalizzato, salvo poi indignarsi e stracciarsi le vesti quando malati irrecuperabili come charlie gard non vengono trattati - per spirito di umana pietà e non accanimento - con cure mai sperimentate prima sull'uomo che però avrebbero dovuto rivelarsi, secondo loro, miracolose e infallibili.
Un mondo in cui il pensiero magico sano e positivo (la fantasia, l'immaginazione, la creatività, la visione analogica dell'universo e della bellezza) è bandito o poco incoraggiato, mentre il pensiero magico malsano (la superstizione, l'irrazionalità, la deformazione paranoide, la pretesa che ricette semplicistiche, slogan stereotipati, idee del mondo manichee e prive di fondamento possano risolvere in un batter d'occhio situazioni problematiche estremamente complesse e radicate) è propiziato in continuazione da quasi tutte le narrazioni egemoni, culturalmente, socialmente e politicamente.
Potrei continuare ancora a lungo, ma immaginate di vivere anche voi nel mio mondo e chiedetevi come ci si sente.
Se c'è una cosa che ormai ho capito è che il più macroscopico problema che affligge questi tempi interessanti e spaventosi, il vero male che rischia di coinvolgerci tutti e che si spande insidiosamente come un'epidemia silenziosa e inesorabile, non ha tanto a che fare con la miseria e precarietà reale delle nostre vite. Il vero handicap della postmodernità occidentale è un handicap di percezione."

Mi sembra un'analisi impeccabile.

sabato 25 marzo 2017

Delirium - Delirium A.K.A. Primer Dialogo (1985)

I Delirium, oltre ad essere una band italiana ed altre 13 band sparse per il mondo, sono (erano) una band messicana, dalla breve durata e che ha dato alle stampe due album a meta' anni 80. In realta' non sono due album, in quanto contengono le stesse canzoni ma uno dei due contiene 20 minuti di musica aggiuntivi grazie ad intermezzi, stiracchiature e nuovi innesti musicali. Preferisco la forma ridotta, i poco piu' di 30 minuti di Delirium, a.k.a. Primer Dialogo, del 1985. Tutto cio' che riguarda questo gruppo e' avvolto nell'incertezza e nel dubbio, esattamente come il Paese da cui provengono, la cui storia ed attualita' sono piene di misteri. Non e' chiaro quale album sia stato concepito prima, in quanto Primer Dialogo e' del 1985, seguito da El Teatro Del Delirio nel 1997, che pero' e' una ristampa di un album registrato, secondo i credits, nel 1984, il problema e' che molti storici musicali indicano Primer Dialogo come primo album. Ad ogni modo, i due album sono quasi uguali, e val la pena dal loro un ascolto. Preferisco il primo (o il secondo) per brevita', forse 20 minuti aggiuntivi sono un po' eccessivi. La band e' formata da Manuel Lhoman al basso, Daniel Rivadeneyra alla chitarra, Amador Ramirez e' il tastierista, Víctor Baldovinos il batterista, completa la formazione Alfredo Flores al violino. I credits fanno anche menzione di un cantante, tal Oscar Saldana, seppur l'intero album sia strumentale. Non esistono notizie biografiche del gruppo ne' dei componenti, e pare che la band abbia avuto davvero breve durata, forse neanche un paio di anni, ma sufficienti per pubblicare uno dei migliori album per quanto riguarda il prog messicano, che ha comunque una discreta e dignitosa tradizione.
L'album e' composto da 6 tracce fra i tre e i sette minuti, tutte molto piacevoli ed omogenee nello stile. La musica dei Delirium e' un prog ora romantico ora piu' spacey, caldo, avvolgente, sicuro e confortevole, dal ritmo sufficientemente spedito, con chitarra, tastiere e violino che si intersecano piacevolmente nel disegnare la melodia.
Si parte con Armagedon, traccia piu' breve con i suoi tre minuti scarsi, funge da introduzione e corre rapida e simile dall'inizio alla fine, grazie ad un indovinato motivo sostenuto dal violino. Si prosegue con Atrio De Las Animas, lunga quasi sei minuti, in cui si puo' ancora apprezzare la perfetta collaborazione fra gli strumenti menzionati. Ancora una volta il violino e' principale protagonista, nella descrizione di un'aria molto raffinata e delicata, eterea. Verso meta' brano le tastiere prendono le redini, il ritmo sale e l'atmosfera si fa un attimo piu' drammatica, siamo in territori space prog ora. In seguito anche la chitarra sale, cosi' perfetti intrecci chitarra-tastiere concludono la canzone. La terza traccia, Nocturno En Caminata, e' una delle canzoni piu' prog del lotto, in quanto non ha un motivo portante, ma si lascia andare ad una jam di chitarra e tastiere, ottimamente coadiuvate dagli altri strumenti, con un giro di tastiere che ogni tanto emerge a dare un po' di coordinate. Sei minuti e mezzo di musica eccellente. Si arriva cosi' alla title track nonche' traccia piu' lunga dell'album, la quale comincia ancora con i soliti intrecci corde/tasti, molto veloci e coinvolgenti, salvo arrestarsi dopo un minuto e mezzo per lasciare spazio alle tastiere ed al violino, che rallentano il ritmo ma non ne abbassano la qualita'. E quando anche la chitarra partecipa alla creazione del sound e' davvero un gran sentire. Il brano ha tempo per cambiare ancora una volta ad un paio di minuti dalla fine, accelerando ora e puntando sempre sui magnifici dialoghi fra i tre strumenti portanti e la sezione ritmica. Davvero un ottimo lavoro di amalgama, per una della canzoni piu' riuscite del disco. Il quinto brano e' Hellyet, ora con il basso piu' in evidenza, fra le solite e solide melodie delle corde e dei tasti d'avorio; pezzo breve, raffinato e solare. Conclude Lagrimas, cinque minuti abbondanti di musica barocca e decadente, come fa intuire il titolo, per una variazione di spartito apprezzata seppur sporadica. Infatti questo e' un brano piu' spigoloso, meno melodico, ma assolutamente non meno riuscito, con la chitarra che si fa piu' robusta e piu' evidente, con le solite tastiere in background a tessere tappeti sonori. E quando i due strumenti si scambiano la scena e' piu' prog che mai.
Un'altra gemma rara e nascosta dell'underground progressivo, assolutamente da ascoltare.